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6. Triesteen Forever

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Ben per ti, m0n@…

Javonte Green, a chi ancora oggi gli chieda “Come xe?”

Wooo!

C’è un ragazzino di Providence, sobborgo di Richmond, che sta strabiliando la Virginia orientale. Con la Brunswick High School di Lawrenceville ha già vinto il titolo di contea a livello junior, e nell’anno da senior, il 2010, sta stracciando ogni record di passaggi completati. Javonte Green è un quarterback di grande prospettiva, e potrebbe anche ottenere una borsa di studio per entrare in un’Università prestigiosa e giocare nella NCAA. Ma il giovane Woo, soprannominato così dai compagni di liceo perché “woooo” è il rumore del pubblico ad ogni invenzione sul campo da football, a football non ci vuole proprio giocare. Preferisce la pallacanestro, ma coach Bryant Stith, che pure qualche partita con i Boston Celtics l’ha giocata, non ne vuole sapere. Lo convoca sporadicamente, soprattutto per le partite più facili, in cui sa e spera che il giovane Javonte potrà far saltare sulle gradinate tutte le 2000 persone stivate nella piccola palestra della Brunswick High ad ogni schiacciata siderale. Sì, perché questo ragazzino costretto dal suo talento, suo malgrado, a lanciare palloni ovali, a 18 anni è dotato di un paio di gambe che gli permettono di andare al doppio della velocità dei compagni e di salire tre volte più in alto. Da junior, a 14 anni, schiaccia già a una e due mani. Nei tre anni successivi aggiunge la 360°, la windmill, la reverse e varie combinazioni fra queste. Coach Stith ne limita l’utilizzo nonostante il fatto sia consapevole che quel ragazzo potrebbe condurre la squadra al titolo statale, non certo perché non creda nelle sue qualità, ma piuttosto per preservarne il fisico, divenuto improvvisamente fragile. Il triplo impegno da quarterback e da guardia, cui sporadicamente aggiunge quello di centerfield nella squadra scolastica di baseball è infatti eccessivo anche per un super atleta come lui: al quarto anno di high school subisce una frattura da stress alla schiena, che gli imporrà un lungo percorso di recupero. Nell’estate del 2010, prima dell’inizio dell’ultimo anno di superiori, Stith convoca gli zii del ragazzo, dai quali Javonte si era trasferito fin dall’età di 12 anni e che ne sono i tutori legali, per informarli della sua intenzione di far giocare il nipote -a football o a basket- a cicli di due settimane, facendolo riposare per le due successive. Non c’è da sorprendersi, quindi, che il mondo della pallacanestro universitaria non si accorga minimamente di lui dopo il diploma. Coach Stith, però, non dispera: invia email con gli highlights delle giocate di Javonte ai college di mezza America, e proprio quando il ragazzo si sta rassegnando ad essere accantonato dal mondo dello sport, arriva in extremis un’unica offerta, proveniente da poche miglia da casa. Mike Jones, head coach di Radford University, è incuriosito dalla nota inviata da Stith, e la trascrive su un post-it appicicandola allo schermo del computer sul quale scorrono le imprese di Woo alle scuole superiori. Le immagini, però, sono poco definite, e così invita Javonte nella palestra dove si allenano gli Highlanders per un provino “dal vivo”. Durante la partita il ragazzo si esibisce in una schiacciata facendosi prima passare in volo il pallone fra le gambe. Stith sorride, se l’aspettava. E’ fatta, l’offerta viene formalizzata l’ultimo giorno utile per potersi iscrivere ed accedere al campus, così Javonte per i successivi quattro anni giocherà con gli Highlanders di Radford, college minore ma pur sempre di Division I, la “serie A” delle Università americane, quella dove si disputa il March Madness, la competizione ad eliminazione diretta che nel marzo di ogni anno assegna il titolo nazionale.

Dalla Virginia all’Europa

Nel quadriennio trascorso in NCAA colleziona 133 presenze e ruba 243 palloni, entrambi record di college ancora imbattuti, e segna 1911 punti (secondo marcatore di sempre a Radford). Viene inserito nel quintetto All Star della Big South Conference per quattro anni consecutivi. E’ l’unico giocatore della storia del college a non mancare nemmeno una partita o un allenamento. All’Università si guadagna un altro dei suoi numerosi soprannomi: Sticky Fingers, dita appiccicose, proprio per la sua predilezione nel sottrarre la palla agli avversari e partire in contropiede, concludendolo invariabilmente scaravantandola con violenza a canestro. Si crea una certa fama come giocatore spettacolare, ma non spicca per essere un gran difensore: anzi, l’intensità un po’ altalenante nel back court diventa il suo tallone d’Achille, e gli costa probabilmente la possibilità di accedere all’NBA dalla porta principale nonostante le buone statistiche. Nel 2015, al termine del suo anno da Senior a Radford, rimane undrafted, e per firmare il suo primo contratto da professionista deve fare di necessità virtù: attraversa l’oceano, destinazione Spagna. Ma è una Spagna “minore”: la sua nuova squadra si chiama Peixe Galego, che si esibisce alla Pabellón de A Raña a Marín, cittadina sulla costa atlantica della Galizia, ambizioso club della Liga LEB Plata, la terza serie iberica. Javonte si adatta perfettamente alla vita in Europa, e con le zingarate in contropiede conseguenza della sua inarrestabile esuberanza fisica non trova ostacoli credibili. Nel suo anno da rookie viaggia a 18 punti di media e si impone facilmente come MVP del campionato, trascinando la squadra alla promozione.

Triesteen forever

A Trieste, nel luglio 2016, si è appena concluso positivamente il primo semestre dell’era Alma, da gennaio nuovo main sponsor potenzialmente in grado di far uscire il club dagli “anni di mezzo” successivi al ritorno il A2 del 2012 e quattro stagioni vissute pericolosamente in bilico fra risultati discreti, salvezze all’ultima giornata e rischio di fallimento. Alma, società partenopea attiva nel lavoro interinale, per il momento rimane solo main sponsor, ma si intuisce da subito che il progetto sia quello di entrare progressivamente nel capitale e divenire la nuova proprietà forte del club. Giovanni Marzini, che su richiesta di Mario Ghiacci aveva assunto il ruolo di presidente da febbraio, in estate rimane al suo posto ma, memore delle tragiche esperienze passate, di proprietà forti non vuol nemmeno sentir parlare. Durante l’estate viene comunque creato l’embrione di un progetto ambizioso, potenzialmente in grado di puntare alla Serie A in un paio d’anni, anche perché nella stagione incombente la singola promozione pare un discorso già chiuso in partenza, vista la presenza della nobile decaduta Virtus Bologna che ha costruito un’armata pressoché invincibile e sembra proprio aver già prenotato l’immediata risalita al piano di sopra. Durante l’estate, comunque, vengono piazzati un paio di colpi di discreta rilevanza: alla fine di una stagione con poche soddisfazioni a Verona, arriva a Trieste Matteo Da Ros, vecchio pallino del coach. Inoltre, dopo aver convinto Dalmasson con il suo gioco solido e spettacolare, viene riconfermato l’ex rookie arrivato da North Carolina Central University nella stagione precedente, Jordan Parks, un tipo di lungo duttile e dinamico che notoriamente è il profilo prediletto dal coach. Viene invece liberato Roberto “Ammiraglio” Nelson, che verrà ricordato a Trieste quasi solo per per il buzzer beater che aveva consentito di espugnare il parquet del Paladozza. Per il secondo straniero si va necessariamente al risparmio: sul tavolo di Mario Ghiacci ed Eugenio Dalmasson arrivano numerose proposte dai procuratori di mezza Europa ma, grazie al suggerimento di Mauro Sartori, DS della Reyer con il quale Dalmasson ha un canale preferenziale e dal quale di tanto in tanto gli arriva qualche dritta di mercato, l’occhio cade sul profilo di questo ragazzo di cui in Spagna si parla un gran bene. Certo, non ha esperienza in un campionato importante, però sembra possedere un enorme potenziale, ed in più ha già giocato fuori dalla comfort zone di casa. Ma, soprattutto, costa pochissimo: se la scommessa fosse vinta, il rapporto qualità prezzo sarebbe fra i migliori di sempre. La decisione è presa: Javonte Green raggiunge Trieste nell’agosto 2016, e dopo pochissime ore si sente già a casa. Estroverso e simpatico, è l’antitesi caratteriale del connazionale Jordan Parks, una specie di asceta tutto casa e palestra, che chiede addirittura di essere trasferito in un piccolo appartamento a pochi passi dal palazzetto pur di non avere altre distrazioni. L’esuberanza del ventitreenne Woo si traduce in campo: nonostante qualche pausa, soprattutto in difesa, attacca il ferro con ferocia e creatività, diventando immediatamente uno dei giocatori più spettacolari della lega. La squadra perde la prima partita in casa con Treviso, ma poi mette in fila una sequenza incredibile di successi.

Jordan Parks & Javonte Green

La coppia Parks-Green, così improbabile fuori dal campo, è fra le meglio assortite nella storia del club: i due si cercano, collaborano, si esaltano a vicenda, incendiano la piazza a tal punto da provocare una sorta di isteria collettiva. Il 13 novembre, contro Forlì, Woo chiude un contropiede in modo irreale, raccogliendo il maldestro alley up alzato da Da Ros sotto il ferro, passando sotto il canestro in volo e schiacciando in rovesciata: una delle azioni più spettacolari, ancorché improvvisate, mai viste in via Flavia.Nella seconda metà della stagione si rivedono, dopo decenni, file interminabili ai botteghini ed alle entrate del palazzetto, i sold out diventano la norma, l’atmosfera all’interno dell’Alma Arena è ribollente di entusiasmo. La pallacanestro, grazie soprattutto allo spettacolo offerto dai due americani, magistralmente valorizzato da una campagna di comunicazione giovane e moderna, è nuovamente di tendenza in città: pare di tornare indietro nel tempo di quasi quarant’anni, quando trovare un biglietto per entrare nel palazzetto di Chiarbola per ammirare le gesta dell’Hurlingham era diventata un’impresa ai limiti dell’impossibile. L’Alma combatte, vince, è prima alla fine della stagione regolare, ma deve condividere il primato con Treviso e la Virtus, finendo terza per la differenza canestri. A novembre, per provare seriamente a salire già da subito, era arrivato il capitano di Brescia Alessandro Cittadini. Poco prima dei playoff il colpo ad effetto destinato a dar fuoco alla polveriera: da Varese Daniele Cavaliero scrive su Facebook “Muli, rivo!”. Dalla seconda serie spagnola, prelevato letteralmente di peso dalla dirigenza biancorossa, arriva anche un argentino che l’anno prima aveva giocato a Brescia, che si trasferisce in città per far ambientare la sua famiglia e far nascere al Burlo suo figlio Tiago: il suo esordio potrà avvenire solo a settembre, ma Juan Fernandez sarà lo spettatore d’eccezione di questi playoff. La tavola è apparecchiata. Trieste supera due turni ed arriva a disputare la semifinale, che sarà una delle serie più emozionanti di sempre. Davanti c’è la Fortitudo Bologna, che già pregusta l’allestimento di una mega arena all’interno dello stadio Dall’Ara come palcoscenico per la finale fra le due squadre di Basket City. J&J, però, non sono d’accordo, e come sempre scaricano la tensione in modo opposto, il primo festeggiando in via Torino, il secondo concentrandosi a casa. Gara 5 di Alma-Fortitudo, semifinale playoff 2017, è la partita che forse più di tutte rimane nello scrigno dei tesori per la gran parte dei tifosi triestini. Davanti a quasi 7000 persone che avevano fatto file di ore per accaparrarsi un biglietto, un muro rosso che pare l’Everest, i due americani si scatenano, giocano entrambi in modo spettacolare, viaggiano sopra il ferro, segnano in ogni modo, si esaltano ed esaltano il pubblico in un pandemonio da squassare i timpani. Il vantaggio rimane costantemente sopra i 20 punti, il risultato non è praticamente mai in discussione, ma la conquista della finale è secondaria rispetto alla comunione celebrata fra la squadra e la città, una comunione che pare non debba finire mai. In finale Trieste, come da pronostico, verrà spazzata via dalla Virtus, ma potrà riprovarci, con maggiori mezzi, l’anno successivo. Parks, pochi giorni prima la serie finale, aveva già firmato per la Telekom Bonn: finisce in lacrime, con la testa nascosta sotto un asciugamano, sa che la magia, per quanto lo riguarda, sta per spezzarsi. Javonte, durante l’estate, rimane assente da Trieste solo qualche settimana, ma non torna subito dalla sua Tamara ed i loro tre bambini a Lawrenceville: un tifoso d’eccezione dell’Alma ha messo gli occhi su di lui per farlo diventare la punta di diamante della nazionale Montenegrina. Bogdan Tanjevic gli fa ottenere il passaporto a tempo record ed a luglio lo porta a Podgorica per gli allenamenti in vista delle partite di qualificazione ai Mondiali di Cina ‘19. Nel novembre successivo, con la maglia del Montenegro, Woo perderà contro Spagna e Bielorussia segnando rispettivamente 9 e 13 punti.

Mission completed

Prima di partire da Trieste concorda senza esitazioni un ingaggio sicuramente aumentato rispetto a quello irrisorio dell’anno prima, ma comunque ben inferiore a quello che avrebbe potuto pretendere dopo la stagione che ha appena disputato. La volontà di tornare per completare l’opera, evidentemente, prevale su tutto il resto. Alma, intanto, compra il pacchetto di maggioranza della società, e come prevedibile il presidente Giovanni Marzini si fa da parte lasciando la scena a Gianluca Mauro e Luigi Scavone. La stagione 2017-2018 è la naturale prosecuzione di quella famosa gara 5 con la Fortitudo, solo che stavolta la società fa sul serio: viene allestita una squadra da categoria superiore, con Laurence Bowers a sostituire Jordan Parks sotto canestro e con gli arrivi del lungo georgiano Giga Janelidze e del tiratore trevigiano Federico Loschi. Ed in più, ci sarà Juan Fernandez a dare man forte a Daniele Cavaliero. C’è qualche momento di flessione verso la fine dell’anno, ma mai nessuno dubita che la squadra conquisterà il primo posto al termine della regular season. Green nella sua seconda stagione triestina, oltre ad inserire nel suo bagaglio anche un’inedita dedizione in difesa, comincia a spiaccicare qualche parola in dialetto, rispetta religiosamente il rito delle palacinke pre allenamento, diventa parte dell’arredamento in più di qualche locale di via Torino. Spezza anche qualche cuore, sebbene rimanga innamoratissimo della misteriosa Tamara, che non lo ha mai seguito in Europa, e della numerosa famiglia che hanno costruito insieme in Virginia.

In primavera, quando la società annusa il profumo di una promozione che si fa sempre più concreta partita dopo partita, da Reggio Emilia arriva il playmaker Federico Mussini a completare un roster che ora pare realmente inarrestabile. La stagione finisce in trionfo. In semifinale playoff Green devasta Treviso nelle prime due gare della serie, realizzando in media 30 punti e, più in generale, risultando letteralmente imprendibile per ogni avversario. In gara 3, a Treviso, si limita a divertirsi e far divertire gli altri, facendo infuriare coach Dalmasson per aver cominciato a festeggiare a 15 minuti dalla sirena sul +30. In gara 3 di finale, a Casale Monferrato, lascia la scena agli scatenati ed euforici compagni, salvo prodursi in una stoppata da dietro a cancellare una schiacciata in contropiede nel momento di massimo sforzo degli avversari piemontesi, annullandone definitivamente ogni velleità di rientro. 

Dopo il compimento della missione, e qualche settimana di vacanza in città nell’attesa della festa per la promozione in piazza Unità e degli eventi mondani che in quell’inizio di estate trattengono a Trieste l’intera squadra, alla fine di giugno del 2018 Javonte torna in Virginia. Le possibilità di trattenerlo per la A1 sono ridotte praticamente a zero, stavolta il suo ingaggio è divenuto realmente inarrivabile, e poi lui ha capito che tutto sommato un po’ di strada nella pallacanestro che conta, magari in Europa, può anche provare a farla. Il suo ingaggio lo paga la Ratiopharm Ulm, squadra della massima serie tedesca che disputa anche una coppa europea, vetrina indispensabile per chi vuole spiccare il grande salto. Javonte ci mette qualche giorno per scaldare gli animi anche dei freddi tifosi del Baden-Württemberg con le sue giocate, che restano spettacolari ma sempre meno istintive, meno anarchiche e molto più disciplinate tatticamente rispetto a quelle degli esordi. Javonte rimane Woo, ma adesso sa perché lo fa. La Germania, però, non è Trieste, sente il richiamo della spensierata incoscienza dei tempi in riva all’Adriatico. A Natale torna a trovare i vecchi amici (e le amiche…) ed a raccogliere il calore del suo pubblico, ma ormai ha deciso. Se non può essere a Trieste, non vuole più rimanere in Europa. Ma se vuole continuare a giocare a pallacanestro la strada è solo una, quella che gli era stata preclusa quattro anni prima: l’NBA. 

Working on a dream

Nell’estate del 2019 viene invitato alla Summer League dai Boston Celtics, la squadra nella quale aveva militato il suo coach del liceo, quello che non lo faceva giocare a pallacanestro per il suo bene ma alla fine ne divenne il mentore. Da Trieste in tanti seguono le sue stories su Instagram, ed anche quelle dei Celtics, tifando per lui nonostante i due anni trascorsi dalla separazione, del resto è Javonte stesso a non perdere occasione per dimostrare sui social il suo attaccamento alla città. Ci sono ancora due posti disponibili per contratti garantiti nel roster per la prossima stagione 2019/2020 ed a mano a mano che ci si avvicina alla scelta finale, il nome di Green è sempre più probabile, anche perché Javonte in quei giorni d’estate è fisicamente e mentalmente in stato di grazia. Alla fine, per i prescelti arriva la prova decisiva, dovranno esibirsi in maglia biancoverde in qualche partita di pre season: alla prima uscita gli vengono dati quasi venti minuti, e lui risponde con un 7/7 dal campo che pare una sentenza. Farà parte del roster dei Celtics per quella stagione soffiando il posto al preferito del pubblico Tacko Fall, un senegalese di 229 cm che si fa notare più per l’aspetto fisico filiforme che per le qualità cestistiche: gli viene offerto il minimo salariale (che nell’NBA è di quasi un milione di dollari), ma il contratto è garantito per il primo anno, per poi diventare un non garantito da 1,59 milioni nella seconda stagione. Da oggetto misterioso, che suscita simpatia per la sua storia da underdog vincente nel frattempo divenuta di domimio pubblico in un Paese che esalta chi arriva dal nulla e realizza il sogno americano, si ritaglia sempre più spazio nelle rotazioni, diventa, ironia della sorte, uno specialista difensivo utilizzato dal coach quando serve un “cagnaccio” sul giocatore più pericoloso degli avversari, e poi conserva questa spiccata propensione a rubare palla e schiacciare in contropiede a piena velocità che fa parte del suo DNA cestistico. A Boston gioca la sua prima partita ufficiale in NBA, che poi è anche la sua prima partita NBA in assoluto sia da giocatore che da spettatore: fino alla season premiere del 2019 non aveva mai assistito dal vivo ad una partita dei professionisti americani. Trascorre due anni con la maglia dei Celtics e poi, nel marzo 2021, rientra in una trade che lo porta a Chicago. E’ la consacrazione definitiva. Ai Bulls arriva da giocatore praticamente affermato, ma deve ancora convincere un ambiente diffidente ed impaziente di tornare ai fasti degli anni ‘90. Fatica a trovare spazio, ma non indietreggia mai di un millimetro e si fa trovare sempre pronto nei pochi minuti che gli vengono concessi sul campo. Poi, nella sua seconda stagione alla corte di coach Donovan, entra stabilmente nelle rotazioni partendo spesso in quintetto, e firma un contratto biennale garantito da 3,6 milioni di dollari.

Il 30 novembre 2021 viene invitato al Dedmon Center di Radford, l’arena della sua Università, dove, alla presenza del vecchio coach Mike Jones la sua canottiera viene ritirata durante una cerimonia nell’intervallo della partita, ed ora pende dal soffitto assieme a quella #24 dei Chicago Bulls. Nell’occasione viene anche raccontato il contenuto della famosa nota di coach Stith trascritta da Jones sul post-it rivelatosi cruciale per l’ingresso di Woo nel mondo della pallacanestro che conta: Stith informava Jones che Javonte Green, grazie al suo triplo impegno sportivo e nonostante il grave infortunio, è già capace di giocare ignorando totalmente il dolore. E’ questa la chiave del suo successo. E’ l’atteggiamento mentale di Javonte, la sua feroce determinazione più che il suo strapotere fisico, che lo fece scegliere a Radford e da allora ne caratterizza la carriera.

Proprio lui, che solo sei anni prima viveva del rimborso spese elargito da un piccolo club semi dilettantistico nella sperduta provincia spagnola, ora viene scelto nel quintetto ideale dei ragazzini triestini che giocano a NBA 2K sulla Playstation. È uno dei pochissimi americani della storia del basket giuliano, se non l’unico, a percorrere contromano l’autostrada dei sogni. E per questo rimarrà sempre fra i più amati. Triestin Forever.

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