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Clamorosa figuraccia per un’Allianz in gita sui colli bolognesi

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Contro una Fortitudo motivata e cattiva, Trieste si dimentica subito il vero motivo per il quale era andata a Bologna: giocare a basket

Fortitudo Kigili Bologna: Casali, Gudmundsson 7, Aradori 17, Durham, Zedda, Procida 19, Manna, Benzing 6, Feldeine 4, Charalampopoulos 6, Groselle 24, Borra 13. All:Antimo 

Allianz Pallacanestro Trieste: Banks 14, Davis 2, Fernandez 10, Konate 4, Deangeli 6, Mian, Delia 17, Cavaliero, Grazulis 7, Lever. All: Ciani 

Parziali: 30-21; 53-32; 67-49; 

Ci risiamo. Decisamente, i quartieri alti vengono visti come fumo negli occhi dalle nostre parti. Si predica, giustamente, prudenza, si spengono entusiasmi ed illusioni davanti ad un terzo posto mostrato dalla classifica, non dai sogni dei tifosi. Al contempo, però, non si alza mai di mezzo millimetro l’asticella delle ambizioni, né da parte del coaching team, né da parte dei giocatori, nemmeno da parte della società, peraltro chiusa in un ostinato mutismo. Risultato? Linguaggio del corpo che la dice lunghissima sulle motivazioni nel giocare e vincere la partita, atteggiamento difensivo sul primo, unico e decisivo break di Bologna nel primo quarto da minors del campionato armeno, attacco svogliato, immobile, impreciso, distratto, demotivato per tutto l’arco dei 40 minuti. L’unico merito dell’Allianz è quello di aver resuscitato una squadra in terapia intensiva, ultima in classifica, facendola sembrare i Golden State Warriors (con Gundmussen, Procida e Borra in campo).

Dalla gita (definirla trasferta ci pare troppo generoso) in Emilia non si salva nessuno. L’Allianz dura non più di cinque minuti, poi tramonta definitivamente senza mai più reagire né rendersi conto di che figuraccia stava maturando minuto dopo minuto. Del resto, se contro la peggior difesa del campionato l’Allianz riesce a realizzare la bellezza di 60 punti senza nemmeno arrotondare il punteggio nel garbage time, significa che né giocatori né panchina ci hanno capito nulla. Non c’è nemmeno la consolazione di aver provato a difendere l’amor proprio o, in assenza di quello, almeno il rispetto per i colori indossati, specie in un ultimo quarto in cui, battezzata persa la partita, l’Allianz si è virtualmente ritirata negli spogliatoi lasciandosi umiliare da una Fortitudo che si è messa a giocare come gli Harlem Globetrotters contro gli sparring partner Washington Generals. Questa partita avrebbero meritato di finirla Longo e Fantoma, che almeno ci avrebbero sicuramente messo l’anima: sotto di 30, sarebbe forse stato il caso di concedere loro qualche minuto, risparmiando a qualche spaesato senior la fatica di arrivare svogliatamente al quarantesimo.

L’attesissimo Davis, la cui unica attenuante sono i soli due giorni passati a Trieste, fa rimpiangere Sanders, che almeno il canestro lo guardava, peraltro senza nemmeno provare a tirare. Il nuovo playmaker dà l’impressione di non aver capito su che pianeta sia atterrato, sembra un pesce fuor d’acqua nei pochi minuti concessigli dal coach. Prestazione anonima decisamente da dimenticare. Sagaba Konate, l’altro biancorosso in dubbio per tutta la giornata per motivi che ormai solo un marziano ignora, non viene mai a capo del match, non azzecca un tiro, si fa stoppare, non cattura rimbalzi, viene brutalizzato dai redivivi lunghi felsinei. L’ex di lusso Adrian Banks non entra mai in partita, del resto in assenza dei suoi nove compagni riuscire a fare più di quanto provato dal pistolero (che non si meritava un ritorno così mesto sul campo che l’ha visto protagonista la scorsa stagione) sarebbe stato pressoché impossibile. Incommentabile la partita di tutti gli altri, difficile trovare le parole per descrivere una prestazione che non merita di arrivare al 3 in pagella: qualcosa, pochissimo, arriva da De Angeli e Delia, ma è una predica nel deserto.

Trieste gioca un basket superato e prevedibile: per quanto possa piacere poco agli esteti, la pallacanestro moderna fa perno prevalentemente sul gioco perimetrale. Privarsi per scelta del tiro da tre (l’1 su 18 di Bologna spiega perché non sia generalmente una conclusione su cui l’Allianz possa contare) costa un prezzo altissimo da pagare a tutti. Quando i quattro lunghi vengono portati al bar dai diretti avversari, che fino a oggi erano stati dominati nel pitturato da ogni avversaria affrontata, il fatturato da tre diventa indispensabile: insistere con il pick and roll o con i servizi in post basso dopo estenuanti quanto lentissime manovre in una situazione come quella del Paladozza è un po’ come la mosca che tenta all’infinito di uscire dalla finestra chiusa. Alla quindicesima testata contro il vetro stramazza al suolo.

Nota a margine: ci ricordiamo tutti come, nella stagione scorsa, a Myke Henry furono perdonate almeno una decina di partite sottotono ascrivendole ai postumi da Covid. Benzing e Groselle, reduci dalla recente positività e dal nulla osta riabilitativo all’attività agonistica ottenuto in tempi record , sembrano spiritati, banchettano costantemente sulla testa degli statuari (in senso letterale) lunghi triestini, realizzano mangiandosi spesso il ferro, colpiscono da lontano, vengono fatti sembrare onnipotenti. Una delle due situazioni, forse, non torna. Seconda nota a margine: finalmente, per la prima volta in questo campionato, Procida dimostra come mai rimane fra i top 50 nel mock draft dell’NBA. Buona notizia, se non altro, per il basket azzurro.

Ora arriva la sfida all’Olimpia Milano, reduce da un inizio di stagione da 11 vinte e zero perse. Provarci non costerebbe nulla, ma l’Allianz vista a Bologna, stretta parente di quella “ammirata” l’anno scorso alle F8 di Coppa Italia o nelle tre poco memorabili esibizioni ai playoff contro Brindisi, in assenza di un elettroshock societario e tecnico che la costringa a credere nei propri mezzi anziché temere quelli degli avversari, è capace di battezzarla persa fin da oggi e di pensare già alla partita successiva. Peccato che l’Olimpia non sia la Fortitudo ed una prestazione mentale del genere potrebbe costare un’umiliazione da bassorilievo sugli annali.