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Ma…. siamo davvero sicuri che la città di Trieste si meriti la Serie A?

Tempo di lettura: 10 minuti

E’ ingrato chi nega il beneficio ricevuto.

Ingrato chi lo dissimula.

Più ingrato chi non lo restituisce.

Il più ingrato di tutti chi lo dimentica

LUCIO ANNEO SENECA

Cosa stia succedendo alla città di Trieste, nella testa della sua gente, nelle dinamiche sociali di un posto che ha da sempre metabolizzato la sua sgangherata accozzaglia culturale, etnica, storica e geografica per esprimere una illuminata diversità, una leggera e distaccata unicità rispetto al resto del Paese, è difficile capirlo. Ma, tutto sommato, è anche inutile. Due anni di pandemia hanno provocato un rinsecchimento dell’empatia, hanno spinto ai limiti dell’ossessione l’individualismo e l’egoismo, hanno sdoganato una sorta di autodeterminazione di regole e di diritto di espressione vicine a quelle del Far West di due secoli fa. Qui da noi, esattamente come nel resto d’Italia, un’orgia di appiattimento culturale (verso il basso) reso purtroppo omogeneo dall’abuso dei Social, ha legalizzato, se non nei codici sicuramente nei fatti, la violenza verbale e fisica, l’uso strumentale di falsità ai propri fini, l’ignoranza più becera espressa come valore da esibire piuttosto che un difetto da nascondere e, magari, a cui porre rimedio. E, soprattutto, ha esasperato l’uso dei troppo democratici social network, confusi con arene in cui sfogare impunemente i propri più bassi istinti.

Non vogliamo addentrarci nelle cause per le quali siamo arrivati a tutto questo. Ma ne osserviamo atterriti gli effetti, anche nei campi di basica importanza di cui ci occupiamo, quelli dello sport raccontato. Capita che una squadra triestina, nel mezzo di un guado fatto di ristrettezze economiche, stringenti regole da osservare e far osservare, allestisca un gruppo di giocatori che in un modo o nell’altro arrivi (e rimanga) ai vertici della Serie A, in uno sport nel quale i tifosi si sono da sempre autocelebrati come i migliori in Italia, al pari di pochissime altre città che possono fregiarsi del titolo di “basket city”. Una squadra che negli ultimi quarant’anni ha subito mille vicissitudini, arrivando quasi a toccare il cielo salvo poi precipitare nell’oblio, per poi rinascere come una fenice tornando ai livelli che competono alla sua storia, ad un impianto fra i più belli in Italia, ad uno zoccolo duro di più di 4300 abbonati nelle prime due stagioni del ritorno in Serie A e ad affluenze sempre ai vertici delle statistiche nazionali. Capita poi, disgraziatamente, che tutto ciò svanisca come una bolla di sapone al sessantesimo secondo del quarantesimo minuto di un Trieste-Sassari del febbraio 2020. Senza che sia colpa di nessuno, tantomeno di un club allora all’ultimo posto in classifica che quel giorno schierava, davanti a 6000 persone entusiaste, Kodi Justice e Akill Mitchell, Derek Cooke Jr e Ricky Hickman.

Nonostante tutto, dopo un anno e mezzo di streaming e telecronache che hanno normalmente il difetto di accentuare l’acidità di stomaco (basterebbe questo aspetto per disdire l’abbonamento alla fibra) le porte delle arene si riaprono, fra le mille difficoltà dettate dalle regole imposte da decreti e buon senso. Si può tornare a palazzo, si può tornare a cantare, si può tornare a ricucirsi addosso il titolo di sesto uomo, si può tornare a far affluire nelle casse del club quella linfa finanziaria che in questo momento diventa indispensabile non solo per disporre di un budget tale da permettere voli pindarici sul mercato, ma per la sopravvivenza stessa della Società. Certo, con limiti numerici variabili, ma qualche migliaio di spettatori è comunque preferibile alle porte chiuse.

Capita che, dopo la prima vittoria di Trieste al Palaverde in Serie A, dove anche la Stefanel di Bodiroga e Meneghin le aveva prese di santa ragione, e la riconquista del podio in graduatoria dietro solo a colossi come Milano e Bologna, il presidente Ghiacci richiami i suoi tifosi alle armi, li inviti ad alzare il culo dal divano (l’espressione ufficiale del comunicato è meno cruda, ma immaginando lo stato d’animo attuale del dirigente emiliano non dovremmo essere andati troppo lontani dalla realtà) e tornare a cantare proprio contro Sassari, corsi e ricorsi storici sono solo un caso. “La squadra ha bisogno dei suoi tifosi”, dice. “Vorremmo tornare a giocare al ritmo dei vostri cori”. Come fatto nelle precedenti tre partite, vara promozioni che permettono l’acquisto di due biglietti al posto di uno, con i prezzi dei settori più popolari in linea, se non più bassi, della disgraziata stagione incompiuta del 2020. Coach Ciani, che come il resto del “gruppo squadra” sa bene quanto la spinta del pubblico possa essere fondamentale, rincara la dose: “Condivido le parole del presidente: in questa stagione fin dalle prime interviste non ho nascosto l’importanza e il ruolo che può giocare il pubblico triestino e anche quanto l’avversario di turno possa essere condizionato dalla presenza del muro rosso. (…) mi sembra strano e difficile da capire come possa vivere a distanza e con distacco una stagione come questa che, risultati alla mano, sta risultando l’annata migliore degli ultimi vent’anni. Non può non dispiacermi che una tifoseria scelga di non vivere in massa le emozioni di una stagione così straordinaria e non ci aiuti

Capita, però, che alle parole di presidente e coach, condivise sul sito e sulle pagine social del club, fra tante adesioni entusiaste segua anche una selva di commenti che vanno dall’agghiacciante al falso, dal pretestuoso all’ingrato, dal sarcastico all’offensivo. Nemmeno si trattasse di un appello lanciato da una società disonesta e truffaldina, con una squadra demotivata e mediocre che debba dimostrare ancora qualcosa per (ri)conquistare i propri tifosi. Non è nostra intenzione ergerci ad avvocati difensori della Pallacanestro Trieste, intesa sia come club che come squadra, perché non è proprio mai stato nelle nostre cifre. In questa occasione, però, ci limitiamo a ricapitolare le più ricorrenti ragioni dei supercritici detrattori per come le abbiamo raccolte in rete, cercando, per quanto possibile, di disinnescarne la portata, ben consapevoli che, alla fine, alcuni post inconcepibili (su questo argomento come su ogni altro) non hanno alcun valore statistico e non rispecchiano necessariamente l’opinione comune. Solamente, hanno il potere di dividere ed esasperare gli animi, e di questi tempi non se ne sente di certo il bisogno:

Solita incapacità comunicativa

Lo stile comunicativo modello Politburo della vecchia URSS scelto dalla società nel dopo Alma è innegabilmente poco affascinante, talvolta irritante. La sobrietà quasi istituzionale e la discrezione, però, costituiscono una volontaria soluzione di continuità rispetto alla precedente gestione, che piaccia o no: meno parole e più fatti, meno annunci e più lavoro dietro le quinte. Meno captatio benevolentiae, atteggiamenti istrioni ed acquisto di facili consensi (peraltro tramite finanze la cui provenienza è di dominio pubblico), più pulizia e chiarezza nella gestione. Quello con la gestione Alma è un confronto odioso e privo di parità competitiva: se non già fatto, è ora di cominciare a pensare di cambiar pagina. Alma ha lasciato il club sull’orlo di un baratro con i bordi insaponati, un baratro che forse i meno attenti non si sono accorti da chi sia stato evitato. I risultati sul campo nelle ultime due stagioni sono, peraltro, facilmente reperibili sul sito della Lega. Che poi la società abbia erroneamente dato per scontato che sarebbe bastato riaprire le porte per trasformarle in un rubinetto di persone senza far nulla, è innegabile. Ma di questi tempi guardare alla sostanza anziché alla fuffa è una necessità piuttosto che una scelta.

Prima la società deve dare, poi ricevere

Sembra incredibile, ma aver allestito un roster competitivo pur in assenza di un terzo di budget, quello proveniente dagli abbonamenti, aver portato a Trieste un campione come Adrian Banks, di un livello che non si vedeva da decenni da queste parti, aver sostituito in corsa il playmaker scegliendo un giocatore di assoluto livello, aver conquistato le Final Eight di Coppa Italia per il secondo anno consecutivo, ma stavolta da terzi e con ottime possibilità di avanzare nella competizione, non viene ancora identificato da alcuni come “dare”. Da sempre i tifosi, in ogni sport ed in qualunque parte del mondo, vorrebbero di più, vorrebbero vedere la squadra alla quale tengono sempre più in alto, conquistare trofei e competere a livello internazionale. Ma pensare veramente che quello che è solo un sogno diventi una condizione imprescindibile per tornare a tifare vuol dire vivere fuori dalla realtà.

Ho lasciato i soldi alla società perdendo mezzo abbonamento due anni fa

È il commento più ricorrente. Ma l’equivalente delle sei partite alle quali gli abbonati non hanno potuto assistere nella stagione 2019/2020 sarebbe stato rimborsabile per legge, oltre che per la disponibilità espressa dalla società. L’aver rinunciato a tale rimborso è stata una scelta del tifoso, non un’imposizione. Oltretutto quell’anno si era già potuto ammirare all’Allianz Dome Milano, la Virtus, la Fortitudo, Brindisi, Treviso, Venezia e Sassari, i piatti forti del campionato: non si tratta quindi solo di una questione strettamente numerica, ma anche qualitativa. La decisione del club di riservare la prelazione per eventuali abbonamenti futuri a coloro che non avessero preteso tale rimborso non è certo un ricatto per tutti gli altri, ma piuttosto un modo per ringraziare i primi, e che lo accomuna a tutte le altre società di Serie A. Rinfacciare oggi una propria scelta fatta due anni prima ha un retrogusto che va dalla caduta di stile all’odioso. Che poi qualche altro club abbia regalato una maglietta celebrativa o una membership card che offre sconti sul merchandising è anche vero, ma considerare tale spaccio di specchietti e perline colorate una discriminante per non tornare al palazzetto è pretestuoso. Non bisogna dimenticare che nella scorsa stagione, quando ancora non si sapeva se le partite a porte chiuse sarebbero state estese a tutta la stagione, ma si andava decisamente verso quella eventualità, almeno altri tre club avevano lanciato sontuose quanto velleitarie campagne abbonamenti, che oltretutto avevano riscosso enorme successo, tramite le quali avevano costruito roster sontuosi quanto, talvolta, farlocchi. Qualcuno ha notizia delle modalità di eventuali rimborsi? Auguri.

Riaprite il bar e torno al palazzetto

Non c’è molto da commentare. Specie dal momento che molto spesso coloro che pongono tale condizione come imprescindibile per recarsi al palazzetto sono gli stessi che reclamano anche per il caro biglietti o per il fatto che negli ultimi due anni siano aumentati i disoccupati o le famiglie in difficoltà. Con una birra a 4 euro e mezzo, e sappiamo tutti che una birra è solo la prima di una discreta serie, dichiarare di non potersi permettere un biglietto da 15 euro, e riuscire a stare seri, è indice di grande autocontrollo. Oltretutto, se lo stordimento alcolico fosse una discriminante reale, esistono numerosi bar e pub aperti sia prima che dopo la partita. A rimetterci sicuramente sono soprattutto i gestori dei chioschi, i cui ricavi sono azzerati. Ma sostenere che senza bere sia impossibile assistere ad una partita, beh…

Non mi posso più permettere l’abbonamento

Affermazione poco contestabile. Chi lo dice lo fa a ragion veduta, e non abbiamo certo il diritto di mettere in dubbio le sue difficoltà. Solo, siamo seri; siamo, per una volta, anche sinceri. Il presidente chiede di venire a vedere una partita, non di abbonarsi, dal momento che i 1000 abbonamenti disponibili quest’anno sono già andati esauriti: a Trieste sono veramente tanti coloro che hanno avuto un tracollo economico tale da non potersi permettere l’acquisto saltuario di un biglietto per il basket? Qualche decina sicuramente, ed a loro siamo sinceramente vicini. Ma basta questo a giustificare l’assenza di un paio di migliaia di persone a partita? Chi scrive commenti come questi su Facebook lo fa perché ha testimonianza diretta di migliaia di famiglie precipitate nell’indigenza, fra quelle che due anni fa andavano con i figli all’Allianz Dome? O lo fanno per inerzia, per sentito dire, per abuso di luogo comune? Suvvia. Bandiamo l’ipocrisia una volta per tutte…

Abbassate il prezzo dei biglietti

Ciò che si pretende di ottenere a prezzi stracciati o, talvolta, gratis, è uno spettacolo sportivo di prim’ordine: una partita di pallacanestro di vertice in Serie A. Peraltro, i prezzi sono simili a quelli mediamente applicati in gran parte delle altre arene italiane (ma di gran lunga inferiori a quelli applicati in piazze importanti come Bologna o Milano), e non dissimili a quelli applicati negli ultimi quattro anni, con qualche scelta effettivamente discutibile sui prezzi ridotti per i ragazzi, soprattutto perché sono tantissime le famiglie con bambini abituali frequentatrici dell’Allianz Dome. Ultimamente la società ha però promosso campagne che permettono di acquistare due tagliandi praticamente al prezzo di uno. Nel caso in cui anche i ticket “calmierati” dovessero rimanere fuori dalla portata economica del tifoso, non possiamo che essere sinceramente dispiaciuti per lui e gli auguriamo di potersi riprendere al di lá del piccolo problema del caro biglietti. Per tutti gli altri, vale lo stesso discorso del punto precedente.

Togliete il Green Pass

Green Pass, naturalmente, come punta dell’iceberg: non si vogliono controlli all’entrata, si pretende minor rigidità da parte degli steward nel far rispettare le regole, si pretende l’abolizione dell’obbligo di mascherina, del distanziamento sociale, di qualunque regola di buon senso per cercare di assistere allo spettacolo sportivo in totale sicurezza come condizione imprescindibile per andare in palazzetto, come se la società avesse la facoltà di dichiarare autonomamente il “liberi tutti”. Concetti espressi con l’odiosa e volgare, oltre che sgrammaticata, aggressività che abbiamo imparato a subire negli ultimi mesi soprattutto su Facebook, alla quale non siamo ancora riusciti a rassegnarci. Non entriamo nel merito di tali richieste, andremmo fuori tema e non caveremmo un ragno dal buco. Entreremmo volentieri, invece, nel merito del degrado espressivo con cui viene tirata in ballo la società, che dal canto suo non fa altro che rispettare leggi e decreti, facendo del proprio meglio per preservare sicurezza e salute di tutti. Diamo la colpa alla Pallacanestro Trieste di voler rispettare le regole divenendo “complice dei poteri forti” (sembra impossibile, ma abbiamo letto anche questo)? Ok. Meglio rimanere a casa a guardare l’NBA sul 55 pollici.

E’ chiaro che, come abbiamo già più volte fatto in passato, sia possibile andare invece alla ricerca delle ragioni reali e sacrosante che tengono ancora lontane le persone dai palazzetti e dagli stadi, tranne quelli della Serie A di calcio che a quanto pare gode di ottima salute. La paura, la prudenza, la necessità di preservare sé stesso ed i propri cari da possibili contatti che possano avere ricadute sulle possibilità di recarsi al lavoro o avere conseguenze pesanti sulla salute sono ancora presenti ed assolutamente rispettabili. La pigrizia, la disaffezione, l’economicità dello sport virtuale sono certamente difetti e dati di fatto, e contribuiscono anch’essi a dare una spiegazione razionale ad un’affluenza mediamente inferiore alle 2000 persone, così come l’obbligo del green pass rafforzato, di cui sono sprovvisti ormai in pochi, non è sufficiente a spiegare da solo le dimensioni del fenomeno.

Ma la fioritura di prese di posizione, in gran parte colorite critiche nei confronti dell’appello lanciato da presidente ed allenatore, continua lunga e sorprendente, talvolta scadendo addirittura nel grottesco, e quella facciamo fatica a rispettarla altrettanto. In buona sostanza: la risposta dei tifosi triestini all’appello della Pallacanestro Trieste consiste nel voler ostinatamente continuare a subire le bizze della linea adsl seduti sul divano con cassetta di birra, pop corn e rutto libero, senza mascherina ma con sciarpa rosso alabardata per testimoniare la propria appartenenza ed il proprio attaccamento ai colori.

Attenzione, però: se nel prossimo giugno, davanti al mesto abbandono di una Pallacanestro Trieste ormai orfana di Allianz da parte della città, il club sarà costretto ad alzare le mani facendo ripiombare la pallacanestro triestina all’età della pietra, dal divano in streaming si rischia di ammirare uno schermo desolatamente nero. Poi, il rimborso dell’abbonamento bisognerà andare a chiederlo a Discovery Plus, e saremo tutti qui a vedere con quante probabilità di successo.