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Blinded by the light, ovvero nessuno salti sul carro del vincitore

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I presagi, se ci pensiamo, c’erano tutti: un quartetto di ragazzotti romani, a fine primavera, già ammoniva tutta Europa urlando “Zitti e Buoni“, mettendo d’accordo i coetanei di mezzo mondo, trionfando all’Eurofestival, diventando trend topic sui social italiani e, soprattutto, inaugurando la stagione del “rosicamento attivo” da parte degli attoniti sconfitti, specialmente francesi ed inglesi (con questi ultimi che, in quanto a rosicamento, in quel momento non sapevano ancora che le bastonate erano appena iniziate). Era solo il preludio di quella che sarebbe diventata un’estate indimenticabile per gli appassionati di competizioni sportive del Belpaese.

Un’estate tricolore come quella che sta volgendo al termine facciamo veramente fatica a ricordarcela. Un Europeo di calcio vinto da protagonisti in un crescendo di emozioni e di partecipazione popolare. Una Nazionale di pallacanestro capace di espugnare il fortino di Belgrado dominando i maestri serbi a casa loro qualificandosi per i Giochi. Un’Olimpiade che porta cascate d’oro in discipline mai state territorio azzurro con conseguente tifo da stadio (ma dal divano di casa) in orari perlomeno inconsueti. Un gruppetto di tennisti che, dopo millenni di oblio, scalano le classifiche dell’ATP, con il “Martello” che arriva addirittura in finale nel torneo più prestigioso e partecipa alla parata trionfale fra le vie di Roma assieme ai calciatori campioni continentali fra ali di folla adorante. Insomma, un toccasana per il morale di un Paese ferito, piegato da un anno e mezzo di lutti, provato da mesi di lockdown, intimorito da un male dapprima sconosciuto e poi, una volta imbrigliato, capace di spremere il peggio da una società esasperata. Vax e no-mask tutti insieme assiepati e sorridenti in via del Corso ad acclamare i propri eroi, complottisti e vaccinati messi incondizionatamente d’accordo dallo stile di corsa di Jacobs -di cui, a giugno, in pochi potevano dire di aver mai sentito il nome- o dalla tecnica di cambio della staffetta 4 x 100.

E’ la svolta? Lo sport italiano, candidato alla terapia intensiva da decenni è improvvisamente ed inspiegabilmente guarito da solo facendo del 2021 il punto d’inizio di una duratura stagione di vittorie, di ricambio generazionale, di programmazione, di un rinato spirito di sacrificio? Neanche per sogno. Nessuno vuole naturalmente sminuire i meriti dei nostri splendidi atleti, che con la faccia pulita, sorridenti ma con gli occhi della tigre, estrema determinazione, spirito di gruppo, orgoglio per la maglia azzurra (sì, anche -e soprattutto- da parte di atleti non nati in Italia, ma questa è un’altra storia) ed infine grazie al loro sterminato talento personale sono riusciti a sovvertire qualunque pronostico ed eccellere nelle loro discipline. E, tantomeno, nessuno vuole togliere agli italiani il sacrosanto diritto di goderne fino in fondo.

Ma, a costo di venire accusati di voler per forza vedere il bicchiere mezzo vuoto, è necessario imporsi di non cadere nel facile equivoco del “tutto perdonato”: i vertici politici dello sport nazionale, con i prevedibili toni trionfalistici per vittorie di cui si sono immediatamente appropriati, stanno usando questa anomala estate per accecare il Paese distogliendo l’attenzione dagli atavici problemi e le storture che da sempre minano lo sport di base e di conseguenza, in prospettiva, quello di vertice. Questa sorta di moderno “panem et circenses” (a dire la verità poco pane e molti circenses) non può e non deve cambiare la sostanza: in Italia manca la cultura dello sport, perché nelle scuole e nelle università è praticamente ignorato quando non emarginato, le strutture non ci sono o hanno bisogno di cospicui investimenti in ristrutturazioni, i fondi destinati all’attività dilettantistica, specie quella degli sport minori (ma calcio, basket e volley non stanno molto meglio) sono irrisori e non permettono di programmare, di curare la crescita, di formare e di mantenere al vertice i campioni di domani. Come se non bastasse, l’esempio portato dal patinato mondo dei grandi professionisti distorce completamente aspirazioni e prospettive di genitori e giovani atleti, attratti più dal miraggio di facili guadagni ed una vita da jet set che dal raggiungimento dell’eccellenza sportiva (come se la seconda non fosse l’unica strada per poter raggiungere, eventualmente, i primi). I giovani italiani sono, mediamente, lo specchio della nazione decadente che siamo diventati: diritti acquisiti senza sacrificio, talvolta comprati, spesso sventolati come chimere da dirigenti senza scrupoli.

Attenzione poi, ciò che luccica non è certo tutto oro: nel medagliere di Tokyo, alla fine, l’Italia non ha fatto meglio del decimo posto, conquistando meno della metà delle vittorie della Gran Bretagna e rimanendo dietro anche a Germania e Francia. Ha mestamente fallito nel volley maschile e femminile e nella pallanuoto. Il basket, pur brillando più dei colleghi degli altri sport di squadra, alla fine rimane lontano dalle medaglie. La scherma e la vasca, tradizionalmente miniere auree in ogni Olimpiade, non portano a casa vittorie, pur vantando qualche importante piazzamento. Il calcio non si è qualificato ai Giochi, e va tenuto presente che il preolimpico coincide con il torneo continentale Under 21, e dunque con i “ricambi” di domani. La stessa vittoria ad Euro 2020 nasce dalle ceneri del 2018 (solo tre anni fa), probabilmente il punto più basso toccato dal football nostrano nella sua storia, ed arriva soprattutto grazie alla magia generata dalle capacità di un selezionatore che ha creato, cementato e motivato un gruppo di ragazzi su cui nessuno era disposto a scommettere.

L’allineamento di pianeti che in una caldissima estate italiana ha permesso al talento di splendidi ragazzi e ragazze vestiti d’azzurro di coronare il loro sogno e di far sognare una nazione assieme a loro non deve perciò essere il lasciapassare per far salire troppo facilmente chiunque sul carro dei vincitori. Anzi, proprio a loro deve essere consegnata la chiave per impedire che ciò avvenga, per fare in modo che il loro impegno, i loro sacrifici, le abnormi difficoltà che hanno dovuto superare per raggiungere i risultati nonostante tutto e tutti dimostrino che tali risultati siano principalmente una loro conquista personale, non certo il frutto (o perlomeno non la diretta conseguenza) di una inversione di tendenza negli investimenti in danaro ed impegno che l’establishment sportivo è stato finora disponibile ad elargire.

Piuttosto, sarà necessario essere abili nell’approfittare di questi risultati per non disperdere lo spirito di emulazione che prevedibilmente riporterà una marea di giovani e giovanissimi sui campi da gioco o sulle piste di atletica, dopo tanti mesi di “crisi di vocazione”: è una occasione irripetibile che lo sport italiano non si può permettere di sprecare.