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Ci risiamo: il DPCM salva dal Covid ma rende pazzo chi lo legge

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Di Francesco Freni

Professionisti sì, dilettanti no. Dilettanti sì, amatori no. Anzi, dilettanti regionali sì, dilettanti provinciali no. Eventi nazionali e regionali sì. Ma attività di base no. Pallacanestro fino all’U13 sì, minibasket no. Palestre e piscine sì, ma per una settimana. Allenamenti sì, per tutti. Anzi, non per tutti: per i dilettanti fino alla seconda categoria del calcio (o era la prima?) e l’attività di base regionale si continua come se Conte non si fosse nemmeno presentato. Per i dilettanti e l’attività di base provinciali gli allenamenti degli “sport di contatto” si potranno continuare a svolgere, ma “senza contatto”. In pratica, bisogna spiegare, ad esempio, ad attempati signori che svernano nella terza categoria del calcio che sì, possono continuare a sfuggire alle grinfie della moglie per andare al campo, però debbono dribblare e spaccare gambe ad avversari e compagni rimanendo ad almeno due metri di distanza. Oppure, sarà necessario convincere corpulenti pivot di Prima Divisione a praticare il tagliafuori a gomiti alzati a turno come esercizio individuale. Senza contare che  spesso il privilegiato “regionale” e l’untore “provinciale” sono fratelli, compagni di banco o colleghi di lavoro, si pigiano assieme sullo stesso autobus o partecipano alla stessa festicciola di compleanno (rigorosamente riservata a 6 invitati), rendendo perlomeno poco efficaci le nuove regole. 

Cos’è un “evento” così come definito dal decreto? Come si definisce “l’attività di base”? Che differenza c’è fra sport dilettantistico e sport amatoriale? Come si possono svolgere allenamenti individuali negli sport di contatto quando il 95% delle squadrette giovanili di basket e calcio può contare su un singolo istruttore, massimo due, ogni 20 ragazzi? Cosa vuol dire che “si ferma l’attività”? Si intende solo le partite o anche gli allenamenti? Senza contare che i controlli, in questo guazzabuglio interpretativo, saranno pressoché impossibili o perlomeno eterogenei, prestando così il fianco alla super italica arte di arrangiarsi. 
Non che tutti questi curiosi distinguo fossero chiari già dalla prima ora. Sono state necessarie una notte ed una intera giornata di consultazioni, proteste, richieste di chiarimenti, post indignati, interpretazioni, de profundis societari ed infine comunicati federali, per riuscire a ricomporre lo schizofrenico Risiko. 

L’intento del Governo, sia chiaro, è quello di contenere in modo più efficace e meno penalizzante possibile la diffusione dell’epidemia. La buona fede degli estensori del provvedimento è fuori discussione. D’altra parte, è fuori discussione anche il fatto che con ogni probabilità si tratti di persone dotate di poca dimestichezza con la quotidianità delle migliaia di associazioni sportive grandi e piccole, con il linguaggio degli sportivi, con la struttura e l’organizzazione dei campionati delle varie federazioni, con la passione e la voglia di ragazzini che, in assenza della possibilità di praticare sport in modo sicuro e controllato, continuerebbero a praticarlo in modo clandestino fra di loro nelle strade, nei campetti nascosti di periferia, nei cortili moltiplicando, allora sì, rischi e contagi. Il decreto era in gestazione ormai da settimane, sarebbe bastato sfruttarle per consultare i vertici delle federazioni almeno degli sport “maggiori”, si sarebbero evitate storture ed approssimazioni pur garantendo l’intento di fondo delle nuove regole. 

Il DPCM, a dire la verità, contiene provvedimenti anche in molti altri campi che coinvolgono la vita quotidiana e le attività commerciali e produttive degli italiani, ma per quanto riguarda le prescrizioni per lo sport costituisce l’ennesima occasione sprecata. E penalizza in modo talvolta letale associazioni dilettantistiche ed amatoriali già fortemente provate dal lockdown primaverile e dall’immane sforzo economico ed organizzativo per mettersi in regola con le prescrizioni ed i protocolli di sicurezza: entrate separate, chioschi chiusi o semideserti, sanificazioni costanti di spogliatoi ed attrezzatura, acquisto di termometri ad infrarossi, assunzione di personale per i controlli e la manutenzione, tutto fa parte di una necessaria nuova realtà alla quale quasi tutti si sono adeguati di buon grado nonostante le difficoltà. Bloccare tutto di nuovo significherebbe quasi certamente mettere la parola fine su un settore da sempre reietto e poco considerato come quello dello sport, come sempre prima vittima, in questo Paese, dello sprezzante atteggiamento da “abbiamo cose più importanti di cui occuparci”. 

Ora, però, arriva la parte più difficile: dire alle centinaia di ragazzini già pronti nei loro pantaloncini e scarpette da calcio o con la loro canottiera colorata che no, la partita contro Simone non potranno giocarla perché, loro, sono pericolosi “provinciali”.