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In A2 solo di passaggio?

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(Photo credit: sito ufficiale Pallacanestro Trieste)

Les jeux sont faits. Trieste ha completato roster e team tecnico, così come gran parte delle teoriche pretendenti almeno ad un posto in finale playoff. Il club, o meglio il tandem Micheal Arcieri e Jamion Christian, ha costruito una squadra coerente con il progetto ed il volere espresso dalla proprietà il giorno dopo la retrocessione (in A2 per restarci solo un anno), ma coerente soprattutto con la pallacanestro come la interpretano loro: difesa aggressiva, tanto contropiede, transizione, velocità, tiri da tre punti, cioè quanto di più lontano rispetto a quello che le assi del parquet di via Flavia abbiano potuto ammirare nella loro venticinquennale carriera.

Nove decimi della squadra, in effetti, ha disputato la passata stagione, o almeno parte di essa, in Serie A. Uno degli americani è stato il leader dell’Università del Michigan nell’NCAA e, sebbene sia alla sua prima esperienza in Europa, è un vecchio pallino del coach, che lo segue dai tempi dell’high school. L’altro straniero è un nazionale portoricano con alle spalle un’ottima esperienza a Varese, ed è un uomo di fiducia del GM Michael Arcieri, noto per sbagliare difficilmente la scelta di un uomo. Tutti e dieci sono stati selezionati, prima ancora che per le loro caratteristiche tecniche, per le loro qualità umane: chi per le sue doti di leadership, chi per il suo valore in spogliatoio, altri per la capacità di lavorare in team, altri ancora per la loro dedizione al lavoro ed ai valori condivisi con la proprietà americana, che su di essi ha basato il suo progetto triestino. E’ vero che metà squadra è naufragata al termine della passata stagione precipitando in A2, ma è altrettanto vero che le ragioni di tale disastroso risultato siano complesse ed articolate, e vadano individuate perlopiù altrove. Così come è altrettanto vero che tutti e cinque abbiano desiderio di rivalsa, voglia di dimostrarsi all’altezza, con l’imperativo di tornare al più presto a giocare in una categoria che li avrebbe facilmente potuti riaccogliere altrove già quest’anno. In più, è stato raggiunto l’obiettivo dichiarato di formare una squadra di dieci giocatori tutti da rotazione, in grado di fornire al coach infinite combinazioni nel corso della singola partita e dell’intera stagione senza abbassare rendimento o snaturare il tipo di gioco che Trieste vorrà imporre. I più attenti notano come la squadra appaia un po’ squilibrata sugli esterni, mostrando qualche carenza, almeno numerica, sotto canestro. Certo, quando vuoi giocare al corri e tira, soprattutto tira, avere a disposizione nove giocatori su dieci in grado di essere pericolosi da fuori, con qualcuno fondamentalmente imprevedibile ed un paio di veri specialisti, ti da un vantaggio competitivo incolmabile. Ma nelle serate storte dal punto di vista balistico un puntello spalle a canestro, o magari un paio di giocatori abili nel finalizzare al ferro i pick and roll, sembrerebbero indispensabili come piano di riserva. Non bisogna, però, cadere nel tranello di paragonare le esigenze classiche di un team di Serie A, errore facile da commettere dopo cinque anni di sfide con squadre della massima serie, con quelle, ben più modeste, della A2: fra i due campionati sembra ci sia un canyon di almeno tre categorie per fisicità, velocità, talento, consistenza numerica. Vildera e Candussi sono perciò più che sufficienti ad arginare l’impatto del “pacchetto” lunghi di almeno l’80% delle avversarie, oltretutto con il vantaggio tattico di poter portare Candussi a concludere dall’arco costringendo i rari centri di stazza avversari a precipitarsi sul perimetro, lasciando così libere autostrade nel pitturato, terreno di caccia non esclusivo di Giovanni Vildera perché vi possono banchettare anche Justin Reyes e Giancarlo Ferrero. Infine, il fattore Palatrieste: anche se la campagna abbonamenti è stata criticata da qualcuno (pur dando nei fatti una risposta discreta), è risaputo che una squadra vincente e magari divertente, con obiettivi dichiaratamente ambiziosi e nella quale la gente possa identificarsi non potrà che generare un circolo virtuoso che riporterà l’impianto di Via Flavia ad essere il fortino gremito, colorato e rumoroso, pressoché inespugnabile, che ha già dimostrato di poter essere anche in A2.

Raccontata così, Trieste pare veramente potersi candidare come squadra da battere, e probabilmente al momento può in effetti collocarsi una spanna sopra ogni avversaria. Ma le variabili sono numerosissime, e qualcuna di esse potrebbe essere in grado di sparigliare qualsiasi pronostico: del resto è risaputo che i power rankings estivi siano sistematicamente sovvertiti.

Il primo vero, enorme punto interrogativo è naturalmente quello costituito dal coach. Christian ha capacità e competenza, ha motivazione ed entusiasmo, qualità che per carattere è in grado di trasmettere ai suoi giocatori. Ha studiato a fondo il basket europeo, ha fatto precipitose ripetizioni in particolare sulla A2 italiana (necessariamente su un Bignami, visto il poco tempo trascorso dalla sua firma), e sembra conoscere approfonditamente caratteristiche tenciche ed umane, pregi e difetti di ognuno dei suoi giocatori, che afferma di aver personalmente selezionato. Però finora la sua esperienza da head coach è limitata a squadre di giovanissimi americani, dilettanti che non giocano per un obiettivo preciso ed imprescindibile reclamato, o meglio preteso, dalla proprietà e dalla piazza. E’ alla prima esperienza fuori dai confini americani, e l’ambientamento nella nuova realtà di vita e professionale è un processo del tutto imprevedibile nei tempi e nei modi. E’ da verificare, inoltre, come i suoi metodi così poco consueti siano metabolizzabili in breve tempo da giocatori perlopiù ultratrentenni, sebbene in questo sia coadiuvato da due assistenti italiani con grande esperienza nella categoria. E comunque è piuttosto facile prevedere che il vero game changer sarà costituito da gente come Ferrero, Filloy o Ruzzier (sebbene al momento lui consideri Brooks il suo uomo di fiducia) quando diventeranno letteralmente la sua longa manus in campo. Christian, in aggiunta, quando si renderà conto che la coerenza nella scelta dei giocatori si limita in molti casi al ruolo da loro ricoperto, ma non tanto alle loro caratteristiche fisiche e di attitudine, dovrà dimostrare elasticità e prontezza nell’adattare il suo gioco alla squadra, senza intestardirsi nel voler imporre il contrario, anche tenuto conto delle difficoltà nel portare aggiustamenti al roster in corso d’opera: in altre parole, i giocatori sono questi, se non si riveleranno grandi difensori, o tiratori infallibili, o veloci ladri di palloni e specialisti del contropiede, dovrà essere bravo a capirlo ed a sfruttare comunque i loro punti di forza.

Seconda variabile, l’esperienza recente pressoché nulla fra i cadetti di nove giocatori su dieci: il solo Candussi ha infatti giocato in A2 parte della passata stagione con ottime prestazioni alla Fortitudo. Per il resto, è da verificare come giocatori di classe superiore alla media, abituati sì a confrontarsi ed allenarsi con avversari dalle prestazioni fisiche debordanti, ma anche ad essere sostenuti da compagni all’altezza potendosi permettere di svolgere il loro compitino nei minuti (spesso pochini) messi loro a disposizione, siano disponibili a sporcarsi le mani, a ridiventare grezzi e cattivi il giusto così come lo erano agli esordi delle loro carriere. Perché, c’è da giurarlo, quando sei la squadra da battere tutti gli avversari ti affrontano per conquistare il tuo scalpo, che per molti costituirebbe di per sé stesso un trofeo all’interno della stessa stagione. Tutti contro Trieste daranno un po’ di più, cercheranno di sorprenderla con soluzioni studiate apposta, alzeranno i gomiti un po’ di più a rimbalzo, saranno un po’ più duri nei contrasti e nei blocchi, intimidiranno a tavolino, difenderanno quaranta minuti con zone che anche in Bulgaria seminerebbero il panico. Scrollarsi di dosso la presunzione (che, beninteso, è solo un rischio teorico che non intendiamo assolutamente appiccicare a priori ad alcuno dei biancorossi) e capire da subito che -fatti i debiti distinguo- la A2 è perlopiù una fabbrica di maniscalchi che l’obiettivo lo vogliono raggiungere più con le cattive che con le buone sarà un passaggio mentale che dovrà scattare il più velocemente possibile nelle teste triestine.

Terza variabile, le avversarie. Sebbene nessuna possa dire aver raggiunto l’obiettivo di avere in roster dieci giocatori di pari livello, qualcuna sembra essere riuscita a costruire squadre intelligenti ed equilibrate, esperte e molto ben guidate.

Nel girone Est spicca la Udine di Vertemati e degli ex “triestini”. La presenza di coach di grande esperienza come Ramagli a Verona, Martino a Forlì e (soprattutto?) Caja a Bologna potrebbero rimescolare completamente le carte al di là della completezza e del valore intrinseco dei roster. Ad Ovest le altre due sicure protagoniste della prossima A2: Cantù guidata da Meo Sacchetti e ricostruita ancora più forte rispetto all’anno scorso, e Trapani, asso pigliatutto del mercato, che porta in Sicilia JD Notae e mr. buyout Joseph Mobio, ma al momento sembra più la classica raccolta di figurine che una squadra già pronta a vincere. E poi, naturalmente, le possibili outsider, come la finalista della passata stagione Forlì, Treviglio, che rilancia al rialzo il suo ambizioso progetto, Torino con Franco Ciani e Matteo Schina. Un gradino più sotto, ma sicuramente pericolose, potranno essere Cento e Rimini. In generale, la lunghezza del roster alla fine farà la differenza, ma il cocktail fornito dall’esperienza dei mestieranti della categoria e dalle alchimie tattiche predisposte da allenatori con militanza più che decennale sulle panchine italiane potrebbe risultare perlomeno indigesta alla nuova Trieste, almeno nella fase iniziale del campionato, sottraendo punti in classifica che alla fine potrebbero rivelarsi decisivi.

Già, le fasi del campionato: solo a leggere le date si ha già l’impressione di quanto infinitamente lunga sarà la prossima stagione. Alla stagione regolare, con 22 partite e calendario speculare fra a andata e ritorno, si aggiunge infatti la fase ad orologio, nella quale ogni squadra si porta in dote il bottino conquistato nel girone di appartenenza ed affronterà in casa le cinque squadre dell’altro girone che la seguono in classifica e fuori casa le cinque che la precedono. E’ chiarissimo come partire bene, magari arrivando al primo posto nel girone rosso potrà consentire a Trieste di scattare in pole position in classifica nella seconda fase e di affrontare al Palatrieste gli scontri diretti più difficili, probabilmente contro Cantù e/o Trapani. Alla fine della fase orologio, dopo ben 32 partite, si stilerà la classifica finale che stabilirà la griglia playoff, con due tabelloni che partiranno dai quarti di finale, e sono potenzialmente ulteriori 9 match, che potrebbero arrivare a 15 nel caso di serie particolarmente lunghe. L’eventuale gara 5 della finale si disputerà dopo metà giugno 2024. Una quantità simile di partite porta con sé il dubbio sulla tenuta di una squadra costituita da giocatori ultratrentenni utilizzati con una pallacanestro forse spettacolare ma fortemente dispendiosa di energie. La preparazione atletica dovrà essere dosata al millimetro, ci vorrà una buona quantità di fortuna in quanto ad infortuni (magari reclamandola dal recente passato, nel quale la dea bendata è stata piuttosto parca con Trieste), con la spada di Damocle costituita dalla tenuta del ginocchio infortunato di Justin Reyes, sul quale Mike Arcieri deve perlomeno aver ricevuto precise rassicurazioni.

In ultima analisi, la coerenza dimostrata dalla società, dal gm e dal coach potrebbe, alla fine, non essere sufficiente. A portare la vincitrice in Serie A, alla fine, sarà Il fattore umano. La voglia di vincere, l’ambizione, la motivazione dei giocatori, ma anche della città. Uscire prima possibile dall’incubo in cui è precipitato il basket giuliano deve perciò divenire l’imperativo assoluto di ogni sua singola componente.