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La Porsche Cayenne del sedicenne di Weston e il “quasi” harakiri del calciatore giapponese: culture a confronto

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Il cinesino di Arsene Wenger

Arsene Wenger usava piazzare un cinesino in posizioni di campo apparentemente insignificanti. Sembrava che lo piazzasse “esattamente lì”, al millimetro… Ovviamente, ai numerosi allenatori che seguivano i suoi allenamenti, ciò non è sfuggito… Alla sera, discorsi su discorsi, ipotesi su ipotesi, riflessioni su riflessioni… Gruppi di allenatori che amattiscono per spiegare il significato di quel singolo cinesino, messo lì, con estrema cura… Un giorno decidemmo di andare a chiederglielo. Si mise a ridere: “Quel cinesino non significa assolutamente nulla! E’ solo un modo per prendervi un pò in giro…”Il cinesino di Arsene Wenger è una metafora; rappresenta la curiosità, la voglia di guardare un pò tra le righe, sopra, sotto, di guardare al calcio da prospettive diverse insomma.

Capitolo Cinque: “La Porsche Cayenne del sedicenne di Weston e il “quasi” harakiri del calciatore giapponese: culture a confronto”

La nostra società è innegabilmente multiculturale. Forse oggi come non mai lo sport ha anche un ruolo non solo tecnico, ma di “mezzo” attraverso il quale la nostra società di disvalori, può combattere l’individualismo, l’ipocrisia e la sregolatezza… Cito la sociologa Daniela Benedetta Scarlata, che dice: “(…) abbiamo bisogno di maturare atteggiamenti etici adatti per contrastare l’impoverimento relazionale in cui siamo caduti. Quale “mezzo” migliore se non lo sport?”. 

Ma come viene effettivamente percepito lo sport? 

Due anni fa fui ospite dell’amico Mirco Gubellini presso la sua Academy di Weston in Florida. Tra un aneddoto e l’altro, me ne raccontò uno di come un suo allievo di sedici anni venne al campo di allenamento con la sua bella Porshe Cayenne…. Dall’altra parte, un figlio di un immigrato cubano, si presentò con una bicicletta tutta scassata… Non è difficile immaginare la diversa percezione e importanza che questi due adolescenti danno allo sport, con tutto quel che ne consegue…

Abbiamo poi l’aneddoto di Zdenko Verdenik, ex allenatore della nazionale maggiore di Slovenia, alle prese con i suoi giocatori della Serie A austriaca: motivati, disciplinati e coesi quelli della tirolese Innsbruck oppure svogliati, supponenti ed altezzosi nell’aristocratica Vienna, ma soprattutto del tentato harakiri di un suo giocatore quando allenava in Giappone. Successe che dopo una partita persa il buon Verdenik insistette un po’ troppo a sottolineare alcuni errori dei propri giocatori durante la video-analisi. Si sfiorò il dramma, poiché la cultura giapponese è molto sensibile all’esposizione  pubblica di errori individuali… Per contro, sempre a Weston in Florida, assistetti ad un siparietto finale post-allenamento, dove i ragazzi furono invitati a scegliere “il migliore” della seduta – e fin qui tutto bene – ma anche indicare “il peggiore”… Approccio molto probabilmente ammesso dalla loro spiccata cultura capitalista (ma anche individualista), ma per nulla pedagogico per come la pensiamo nella vecchia e “classica” Europa… Alla fine venne scelto anche il peggiore e premiato con un applauso…

Ma non occorre andare negli Stati Uniti e neanche in Giappone. Succede anche dalle nostre parti che non si riescano a fare le partite perché i giocatori della squadra ospite sono essenzialmente figli di agricoltori e di domenica (o nei periodi cruciali) devono lavorare nei campi, oppure che non ci si alleni perché c’è la Barcolana, il carnevale, la Majenca oppure il coro, come espressioni di importanti tradizioni popolari… Sfaccettature, attraverso le quali anche il nostro amato calcio può essere declinato in misura diversa. Tra tutte queste declinazioni, cito quella troppo spesso trascurata, ovvero quella dello sport – quello vero – inteso come terapia! Pura e semplice prevenzione contro i disvalori della società moderna.