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Tiri (poco) liberi

Tempo di lettura: 6 minuti

(Photo Credit: Martina Paccione)

APU OLD WILD WEST UDINE – PALLACANESTRO TRIESTE 87-83

APU Old Wild West Udine: Vedovato 0, Clark 14, Alibegovic 11, Caroti 5, Gaspardo 20, Delia 8, Da Ros 4, Marchiaro ne, Zomero ne, Monaldi 14, Ikangi 11. Allenatore: A. Vertemati. Assistenti: G. Gerosa, L. Pomes

Pallacanestro Trieste: Bossi 2, Filloy 6, Rolli ne, Reyes 18, Deangeli 3, Ruzzier 12, Camporeale ne, Campogrande 2, Candussi 4, Vildera 8, Ferrero 0, Brooks 28. Allenatore: J. Christian. Assistenti: M. Carretto, F. Nanni, N. Schlitzer.

Parziali: 22-21 / 20-16 / 16-23 / 29-23

Progressivi: 22-21 / 42-37 / 58-60 / 87-83

Arbitri: A. Dionisi, M. Barbiero, F. Cassina

Il danno: la sconfitta in un derby al quale tutti tenevano tantissimo. La beffa: vedersi ribaltare il vantaggio nel doppio confronto con palla in mano a 4 secondi dal termine con la possibilità di tirare per vincere, o almeno per guadagnarsi l’overtime. Le conseguenze in classifica del harakiri al Carnera potranno essere valutate nelle prossime tre settimane (in cui Trieste disputerà quattro partite a differenza delle sue avversarie che ne hanno a disposizione solo tre), e sebbene il colpo sia piuttosto duro, potrebbe non essere decisivo. Il vero danno con beffa, però, quello che sta tenendo un po’ tutti con il fiato sospeso in queste ore, potrebbe essere quello di dover rinunciare per un tempo indefinito al miglior giocatore della squadra, un Justin Reyes accompagnato a braccia dai compagni Candussi e Ferrero fino a bordo del pullman dopo la gara. Un Justin Reyes che, anche sfiancato da una partita giocata quasi interamente fuori ruolo, in cui litiga con il canestro, in cui si intestardisce a prendersi conclusioni forzate in isolamento, porta comunque a casa una doppia doppia da 18 punti, 16 rimbalzi e 28 di valutazione: imprescindibile per l’economia del gioco di Jamion Christian, una sua eventuale uscita prematura dal progetto costituirebbe un colpo decisivo alla stagione.

Ma andiamo con ordine: Trieste tiene botta in trasferta in un palazzetto che presenta la classica atmosfera da big match, con una curva interamente biancorossa ed il sold out annunciato con pomposa enfasi da giorni. Arriva addirittura a condurre di 6 punti con la ripetuta chance (sprecata) di ampliare il gap ad una manciata di minuti dalla sirena finale, soccombendo solo sotto i colpi letali di un ispirato ed inarrestabile Jason Clarke, e dal folle errore (di Filloy?) sull’ultima rimessa al termine di una partita estremamente equilibrata, fatta di fiammate e controreazioni immediate, in cui nessuna delle due squadre raggiunge mai la doppia cifra di vantaggio o dà l’impressione di impadronirsi definitivamente del risultato. Lo fa pur esprimendo statistiche deficitarie nelle voci più importanti, a partire da quelle relative al tiro: 49% da due contro il 59% di Udine, 25% da tre frutto di un impalpabile 8 su 32 con Udine che esprime un pur non sufficiente 35%. E, soprattutto, un indecente 56% dalla linea della carità, percentuale peraltro alimentata verso l’alto dal 7 su 9 di Eli Brooks, senza il quale la performance ai liberi sarebbe 12 su 25, equivalente ad un ridicolo 48% espresso dal resto della squadra. Quando tiri ben 34 liberi, conseguenza di una precisa scelta tattica (quella di sfruttare l’aggressività difensiva di Udine per forzarla a commettere una caterva di falli) ma non hai la capacità di approfittarne sbagliandone 15, e poi perdi di quattro punti, la conseguenza logica è lapalissiana. 

Trieste viene anche graziata dalla scarsa vena al tiro dalla distanza dell’APU, specie in un primo quarto in cui torna pigra negli aiuti difensivi sul perimetro permettendo l’esecuzione sempre uguale dello schema che prevede la finta di penetrazione con lo scarico al giocatore ogni volta, invariabilmente, libero oltre la linea da tre: gioco elementare e prevedibile, eppure battezzato a ripetizione dalla difesa triestina con conseguenze molto meno gravi di quelle che avrebbero potuto essere nelle intenzioni di coach Vertemati con Caroti, Monaldi ed Alibegovic a sparacchiare a salve. Difesa che torna però ad essere aggressiva e puntuale nei due quarti centrali, salvo poi sciogliersi nella bagarre finale per motivi diversi dalla svagatezza iniziale: i biancorossi ad Udine periscono dove finora hanno ferito (e dove da sempre affermano di poter ferire), sulla lunghezza di un roster che lungo alla fine non è, dal momento che ormai le rotazioni di Christian si limitano ad 8 uomini che si riducono a 6 se si considerano solo ai giocatori in campo per più di 20 minuti. Soprattutto in partite dall’intensità agonistica elevata, che da qui alla fine della stagione si eleverà ulteriormente in modo consistente, giocatori sfiancati diventano poco lucidi in attacco e, soprattutto, non sono in grado di mantenere alta l’attenzione nel back court. Nel finale al Carnera Jason Clarke è lasciato libero di attaccare il ferro in sottomano come se fosse il riscaldamento pre partita, mentre Gaspardo tira con tre metri di vantaggio da oltre i 6.75. 

Per contro, Trieste stavolta limita in modo evidente le palle parse, solo 6 nei 40 minuti, e prevale a rimbalzo, catturando addirittura 19 carambole in attacco: ma anche in questo caso con scarso fatturato, se si considera che in due singole azioni nel secondo tempo i giocatori in canottiera biancorossa (nella fattispecie Reyes prima con Vildera, poi con Candussi) riescono nell’impresa di sbagliare per tre volte in una manciata di secondi l’appoggio da sotto, catturando a ripetizione il proprio rimbalzo ma continuando a fallire cocciutamente lay up apparentemente più difficili da sbagliare che da segnare. 

Percentuali pessime, errori elementari, scelte scellerate dei giocatori più esperti nel finale, difesa poco attenta nei primi e negli ultimi 5 minuti di match: sembra la descrizione di una disfatta senza attenuanti sul campo di una fra le formazioni più accreditate al salto di categoria. Nulla di tutto questo. I biancorossi dimostrano invece un gran carattere, non si disuniscono quando perdono l’inerzia della gara in una bolgia infernale con Udine ispirata ed in striscia. Recuperano, ribaltano il mood del match dando la sensazione di poter riuscire nell’impresa approfittando della vena di un Eli Brooks costretto a fare pentole e coperchi sopperendo all’impalpabilità degli altri esterni, a cominciare da uno Stefano Bossi in campo per 5 minuti ed un Ariel Filloy che fa e disfa (ma soprattutto disfa) ormai da una decina di partite. Lo fa anche grazie al ritorno di Justin Reyes nel momento più importante dell’incontro. Un Justin Reyes fin lì nella peggior versione stagionale, ma capace di reagire e mettersi in cattedra letteralmente dominando in orizzontale ed in verticale sui due lati del campo, salvo poi commettere un incomprensibile fallo antisportivo lanciandosi in un placcaggio da football americano ed infortunarsi sull’ultima azione dell’APU ad un secondo dal termine. Ed al carattere, più che alla tecnica, di Giovanni Vildera, che si sta imponendo con furore agonistico come leader del pitturato triestino in un periodo di down del compagno di reparto Francesco Candussi, sebbene quest’ultimo infili una bomba e due tiri liberi che sembrano poter essere decisivi. Non dispiace nemmeno lo spiazzante quintetto privo di entrambe le torri ed infarcito di esterni, utilizzato a lungo da Christian anche ad Udine: sembrerebbe destinato ad essere stritolato da avversari che tentano di approfittarne schierandogli contro contemporaneamente Delia con Da Ros o Gaspardo, ed invece i cinque piccoli biancorossi sono in grado di offendere in misura di gran lunga maggiore rispetto a quanto inevitabilmente subiscano in difesa.

E’ proprio da qui che Trieste deve iniziare la porzione decisiva della stagione regolare, fase ad orologio compresa. Dalla dimostrazione che (forse Paladozza a parte) non esistono campi troppo ostici o squadre troppo superiori da affrontare, ed è una dimostrazione importante se vogliamo assumere che il posizionamento nella griglia playoff imporrà alla squadra triestina lo svantaggio del fattore campo almeno dalle semifinali in poi -ovviamente arrivandoci-. Anche perchè, per bocca del presidente ma anche per la sensazione trasmessa da GM e coach nel corso dei mesi, i tifosi e l’ambiente triestino possono mettersi l’animo in pace: non vi è alcuna intenzione di intervenire sul mercato a meno di esigenze inevitabili (come infortuni gravi: la speranza è che non si debba partire proprio dall’unico giocatore insostituibile), ed il coach non intravvede alcuna necessità di snaturare la filosofia di gioco della squadra. Per lui, il problema è l’esecuzione, non la tattica e tantomeno la strategia. Perlomeno, in sala stampa esibisce un inedito disappunto e finalmente inizia a mettere i puntini sulle “i” di cosa non è funzionato, pur difendendo -e rivendicando- il piano partita. Per la prima volta dimostra di amare un po’ meno i suoi giocatori…

Neanche il tempo di raccogliere i cocci e capire cosa si è sbagliato che il calendario impone un’altra partita difficile, il “derbyno” a Cividale, con la squadra di Pillastrini che solo una settimana fa ha nettamente superato Forlì e che potrebbe schierare per la prima volta il nuovo americano Doron Lamb. I margini ora sono però annullati: da qui al 4 febbraio, se si vorranno tenere accese le residue speranze di centrare contro pronostici che volgono al pessimismo un risultato di per sé ancora possibile, non c’è alternativa a realizzare otto punti negli ultimi quattro incontri.