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Trieste a farfalle anche a Verona: la crisi ora è pesante

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(Photo Credit: Photo Express Verona-Sito Ufficiale Pallacanestro Trieste)

TEZENIS VERONA – PALLACANESTRO TRIESTE 81-69

Tezenis Verona: Mbacke ne,Stefanelli 5, Morati ne, Gazzotti 5, Devoe 21, Gaijc 3, Esposito 6, Murphy 17, Massone 4, Penna 2, Udom 18. Allenatore: A. Ramagli. Assistenti: A. Bonacina, S. Gallea.

Pallacanestro Trieste: Bossi ne, Filloy 8, Reyes 26, Deangeli 1, Ruzzier 2, Campogrande 5, Candussi 9, Vildera 8, Ferrero 2, Brooks 8. Allenatore: J. Christian. Assistenti: M. Carretto, F. Nanni.

Parziali: 26-16 / 11-18 / 17-21 / 27-14

Progressivi: 26-16 / 37-34 / 54-55 / 81-69

Una prima ed una quarta frazione indecenti. Due quarti centrali, venti minuti di basket che perlomeno si può chiamare tale, fra due squadre che non si esprimono certamente al meglio ma perlomeno ci mettono tutto quello che hanno. Venti minuti che ovviamente non possono essere sufficienti per consentire alla Pallacanestro Trieste di uscire da un tunnel che non vede nemmeno lontanamente uno sbocco finale. Ridurre l’analisi all’inadeguatezza di uno staff tecnico che si dimostra ancora una volta incapace di gestire un’intera partita dopo averla preparata a dovere è oggi un esercizio troppo semplicistico: l’involuzione, il blocco mentale e tecnico che attanaglia la squadra risiede anche nella testa della gran parte dei giocatori, che non si esprimono in modo sufficiente nemmeno nei fondamentali e nei compiti che in carriera hanno dimostrato di avere nel loro repertorio. Aggiungiamo il fatto che le caratteristiche del roster non consentono al momento attuale particolari aggiustamenti, con un reparto lunghi/lunghi aggregati incapace di arginare squadre attrezzate sotto canestro in modo perlomeno più logico ed un pacchetto di esterni troppo numeroso ma minimamente produttivo. Inoltre, il canyon scavato fra squadra e pubblico si sta allargando minuto dopo dopo minuto, quarto dopo quarto, e potrebbe diventare insanabile entro pochi giorni anche per questioni non strettamente e necessariamente legate al campo. In altre parole, un cambio di conduzione tecnica potrebbe non essere sufficiente ad invertire l’inerzia di una stagione che si poteva prevedere difficile ma che si sta trasformando in una via crucis.

A Verona la Pallacanestro Trieste va immediatamente in difficoltà, finendo sotto con distacco in doppia cifra dopo appena sette minuti. Perlomeno cerca maggiormente il gioco profondo, cerca di entrare in area nonostante la presenza di almeno un paio di lunghi avversari dinamici ed intimidatori come Esposito, Murphy e lo stesso Devoe. Limita i tiri da tre, che comunque continuano a non entrare, ma è troppo poco attenta in difesa: concede come il solito un numero spropositato di seconde chance a rimbalzo offensivo, viene violentata negli attacchi dal lato debole, è pigrissima nei raddoppi difensivi (nulli gli aiuti sulle penetrazioni avversarie una volta saltata la prima linea difensiva, soprattutto quando sia Candussi che Vildera, attratti sul perimetro, vengono saltati come birilli da Devoe, Udom e Murphy). Verona quindi, svolgendo il compitino in attacco e difendendo senza particolari alchimie, limitandosi ad una “uomo” aggressiva e tratti di pressione a tutto campo, sembra avere la strada spianata di fronte ad una Trieste che sembra la copia esatta di quella esibitasi nell’ultima partita e mezza. Poi, improvvisamente, la squadra di Ramagli si pianta dal punto di vista offensivo, smette di attaccare in modo organizzato e razionale e si affida piuttosto a conclusioni improvvisate e fuori ritmo, permettendo a Trieste di rosicchiare gran parte del vantaggio, senza però avere l’istinto del killer e la forza di riportarsi in vantaggio. Vildera in attacco viene finalmente sfruttato con il pick and roll (il rientro di Filloy dona profondità verso il ferro all’attacco biancorosso) ed il solito Reyes, solista a volte incompreso, permettono almeno di riaccendere un incontro che pareva già morto e sepolto. Nel terzo quarto Trieste dà addirittura l’impressione di poter affondare il colpo, approfittando della prolungata rottura offensiva scaligera. Un paio di fiammate con Campogrande, Reyes e pochi minuti decenti di Brooks le permettono di mettere la freccia ed accumulare anche quattro punti di vantaggio. Un vantaggio decisamente troppo poco consistente per poter essere anche lontanamente considerato decisivo, perché chi ha imparato a conoscere questa squadra sa benissimo che alterna momenti di euforia ad altri di totale ed inguardabile abulia. Udom e Defoe con un paio di giocate fortunose ma spettacolari tengono a galla l’attacco dei padroni di casa, con una partita equilibratissima ancora tutta da giocare negli ultimi dieci minuti, che però Trieste inizia ancora in vantaggio di un punto. L’ultimo quarto concretizza tutte le paure, anzi le certezze, alle quali ci ha abituato lo sgangherato team di Jamion Christian. L’ultimo quarto concretizza tutte le paure, anzi le certezze, alle quali ci ha abituato lo sgangherato team di Jamion Christian. Palle perse a ripetizione (ben 19 alla fine), falli in attacco, tre secondi offensivi, ingenuità inconcepibili anche agli infimi livelli della A2: i biancorossi arrivano raramente al tiro, e quando lo fanno si rifugiano nella loro bucherellata coperta di Linus, quel tiro da tre punti che si ostina a non voler entrare. Le conclusioni sono sempre meno logiche e più improvvisate, subentra il solito scoramento, il linguaggio del corpo tradisce arrendevolezza e frustrazione. Non è che Verona faccia più del minimo necessario per mettere al sicuro il risultato: continua a fare il suo gioco senza forzature, torna a sfruttare le evidenti pigrizie difensive triestine (non sono necessari Ramagli o Caja per individuarle e punirle, dopo cinque prestazioni diaboliche basterebbe un coach UISP) ed accumula un vantaggio in doppia cifra che per Trieste, che non va a segno per metà del quarto, è già una sentenza anticipata. Il solo Reyes finisce in doppia cifra con un bottino in media con il suo campionato solitario, il solo Reyes realizza tre dei cinque canestri triestini nel quarto quarto, ma lo fa a partita ampiamente compromessa. Il solo Reyes si rifiuta di farsi prendere a ceffoni nel finale, commettendo perlomeno dei falli che facciano sentire la presenza di una difesa agli avversari. Per il resto, il deserto: Filloy non ha minuti di qualità nelle gambe e sarà da rivedere (peraltro dimostrandosi essenziale per questo roster), Ruzzier naufraga nel momento più importante, Brooks è un “lusso” che probabilmente Trieste potrebbe permettersi in Serie A con altri due piccoli americani titolari, ma se la sua presenza priva il coach di un lungo dinamico e di peso, allora è una presenza assolutamente superflua. La guardia statunitense, peraltro, è del tutto inadeguata quando l’azione si sviluppa oltre i primi 10-15 secondi di azione: si incaponisce a tenere troppo la palla, ha poche idee (e poche alternative tecniche) su come disfarsene, gli avversari lo sanno e lo raddoppiano o lo triplicano togliendoli troppo facilmente la palla di mano o costringendolo a gettarla alle ortiche. Candussi è limitato dai falli e comunque contro Udom e Murphy soffre la loro maggiore velocità, Vildera si sbatte in attacco ma in difesa viene brutalizzato. Solo comparsate ininfluenti per tutti gli altri. Le rotazioni propongono a tratti dei quintetti che è difficile capire se nascano dalla disperazione, dall’improvvisazione, dal caso o dall’inadeguatezza della panchina. Di certo sono tentativi che non portano alcun vantaggio sui due lati del campo.

E ora? Difficile prevedere se e come si muoverà la società. Jamion Christian è una scelta di Michael Arcieri, che è andato a pescarlo oltre oceano ed ha investito su di lui per il futuro: la piazza vuole la testa del coach, pretendendola a gran voce anche dagli spalti del PalaOlimpia scaligero, ma sembra al momento improbabile un cambio di concept. Certo, per rimettere in piedi questa stagione, ammesso che ce ne sia la possibilità (e la volontà) i cambi vanno fatti adesso o mai più. Le alternative sulla carta anche ci sarebbero, ma ipotizzare che un coach italiano di esperienza accetti una sfida che sta diventando una scalata di quarto grado a piedi nudi, e dunque ad alta percentuale di fallimento, non è poi così scontato. E comunque, una volta cambiato il coach, sarebbe necessario intervenire anche sul mercato dei giocatori, che però in questo momento è totalmente fermo sia per quanto riguarda gli italiani sia sul versante straniero (sono ammessi solo cambi con giocatori già vistati, ma chi ce li ha ad ottobre se li tiene stretti), privo di alternative che possano costituire un vero game changer. I cambi non potrebbero comunque riuscire, per numero e qualità, a stravolgere le caratteristiche strutturali di un roster concepito ed allestito commettendo evidenti errori di campo da un GM ed un coach che (lo hanno detto loro) non avevano la minima idea di cosa potesse essere la A2. Cambiare per cambiare, come dimostrato dalla passata stagione, potrebbe d’altro canto rivelarsi controproducente. Ma anche aspettare, con un derby ormai imminente ed una difficile trasferta fra tre giorni, potrebbe rivelarsi tombale.

D’altro canto, lasciare la squadra così com’è, specie in panchina, significherebbe rimandare con ogni probabilità i sogni di gloria alla prossima stagione. Infatti, se è vero che la squadra ha solo bisogno di sbloccarsi dal punto di vista mentale per assumere la mentalità vincente che gran parte dei suoi giocatori possiede già a livello individuale, magari innescando una lunga striscia di vittorie, il distacco in classifica già accumulato dalle prime e le pesanti scoppole subite con Fortitudo e Verona potrebbero rendere inutile ed insufficiente sperare in tale metamorfosi mentale. Insomma, un rebus di difficile soluzione, nato in estate con errori genetici che il primo fresco autunnale non aiuta a guarire.