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Trieste cinica al punto giusto, si impone anche a Rimini

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Rivierabanca Basket Rimini-Pallacanestro Trieste 62-81

Rivierabanca Basket Rimini: Tassinari 2, Marks 21, Anumba 12, Bonfò 0, Grande 2, Tomassini 9, Scarponi 4, Masciadri 6, Mari ne, Johnson 0, Simioni 6, Abba ne. Allenatore: S. Dell’Agnello. Assistenti: M. Zambelli, L. Middleton.

Pallacanestro Trieste: Bossi 2, Filloy 11, Reyes 13, Deangeli 4, Ruzzier 6, Campogrande 4, Candussi 9, Vildera 8, Ferrero 0, Brooks 24. Allenatore: J. Christian. Assistenti: M. Carretto, F. Nanni, N. Schiltzer

Parziali: 23-23 / 12-19 / 12-24 / 15-15

Progressivi: 23-23 / 35-42 / 47-66 / 62-81

(Photo credit: sito ufficiale Pallacanestro Trieste)

Quarta vittoria consecutiva per Trieste, forse la più semplice, per come è arrivata, fra il poker realizzato nell’ultimo mese dai ragazzi di coach Christian. Non certo, però, la più meno complicata alla vigilia, con la concentrazione da tenere alta al cospetto di una squadra dalla classifica bugiarda in rapporto al roster a disposizione, figlia soprattutto delle disastrate condizioni fisiche nelle quali si trova la formazione di coach Sandro Dell’Agnello più che delle sue qualità tecniche. Quando, però, al quarto minuto di gioco il già acciaccato Justin Johnson, unica alternativa credibile sotto canestro (ma di quelle alternative che sembrano costruite apposta per far male soprattutto nelle caratteristiche nelle quali Trieste è più carente), crolla al suolo apparentemente privo di sensi ed abbandona la contesa, la partita virtualmente finisce. Rimini, come prevedibile, reagisce emotivamente alla drammatica uscita del suo miglior giocatore, e con Marks e Anunba tiene egregiamente botta rimanendo costantemente in scia a Trieste, passando anche sporadicamente a condurre. Ma Trieste sa che Dell’Agnello ha a disposizione rotazioni risicate, con l’unico playmaker molto esperto ma trentacinquenne, ed un Simioni oggettivamente troppo indietro dal punto di vista tecnico per poter fronteggiare, specie in attacco, il tandem Candussi-Vildera, cui si aggiunge un intimidatore come Reyes, la cui sola presenza induce gli avversari a cercare soluzioni più elaborate ed a più basso tasso di realizzazione. Dopo Reyes a Cento, Filloy a Piacenza e Campogrande contro Cividale, in Romangna la ribalta viene conquistata da un Brooks arma totale, che quando comprende l’impossibilità per Tommasini e Grande di reggere il suo primo passo sul perimetro, comincia a batterli sistematicamente nell’uno contro uno arrivando con continuità al ferro, condendo la sua mostruosa prestazione nel primo tempo con una precisione chirurgica anche nei tiri da tre, per una volta presi con raziocinio, in ritmo e quasi sempre piedi a terra. Trieste chiude la prima metà di partita in vantaggio di sette punti, ma dà l’impressione di avere la capacità di uccidere la partita a mano a mano che i minuti aggiungono acido lattico nelle gambe dei padroni di casa consumandone la lucidità. Era uno degli ultimi tasselli, una sorta di tabù ancora mai sfatato in tutto il girone d’andata: l’incapacità di “uccidere” le partite davanti ad avversari in evidente difficoltà, piazzare break decisivi e virtualmente irrecuperabili, non concedere controbreak facili che donino coraggio e possibilità di riaprire l’incontro, rimanere concentrati con continuità nell’arco di tutti i 40 minuti. E’ un tassello che, finalmente, viene aggiunto al complesso mosaico ancora da completare che è il gioco di coach Christian. Nella seconda metà del terzo quarto, improvvisamente, Trieste accelera in attacco, comincia a correre in contropiede, trova tre bombe consecutive, e soprattutto alza a dismisura la pressione difensiva sia sul perimetro che sotto canestro, dove smette di concedere seconde chances sotto forma di rimbalzi offensivi (i 9 concessi sono catturati soprattutto nel primo tempo), gettandosi per contro sotto il canestro avversario riuscendo a catturarne ben 12. Il vantaggio vira decisamente verso i 20 punti a cavallo fra le ultime due frazioni, trasformando l’ultima parte di match in un gioco del gatto con il topo, con i biancorossi triestini a flirtare più con il cronometro che con il canestro e riminesi ormai troppo stanchi e poco lucidi per riuscire scalare in pochi minuti una montagna fatta di 15-17 punti di svantaggio. Trieste si limita a realizzare dalla lunetta o con conclusioni “sporche” quel tanto che basta ad abbattere ogni velleità (peraltro scarsa) di recupero, e finalmente riesce nell’intento di abbattere entusiasmo e tenacia degli avversari riservando energie fisiche e mentali al big match contro Forlì di domenica prossima, aspetto fondamentale soprattutto per i suoi uomini più “attempati”

Detto della prestazione di Brooks, che ne mette 22 solo nel primo tempo chiudendo a 24 una partita che lo vede troppo superiore ai diretti avversari italiani, tenere egregiamente in difesa anche contro avversari più dotati fisicamente come Marks, conquistare “solo” 5 rimbalzi e, soprattutto, non perdere nemmeno un pallone, c’è da registrare una prestazione apparentemente sotto media di Justin Reyes, se ci si limita a leggere le statistiche. Reyes è un giocatore che da solo monopolizza l’attenzione delle difese avversarie, che lo inseriscono costantemente nei loro piani partita come principale e più pericoloso terminale offensivo biancorosso. A mano a mano che la stagione procede, le attenzioni che gli vengono riservate sono sempre più dure e accentuate, e questo deve essere sfruttato più come un vantaggio che come una limitazione: è però necessario convincerlo che sarebbe sufficiente cambiare leggermente prospettiva, smettendo di incaponirsi nel cercare costantemente il ferro con conclusioni a difesa collassata su di lui a cercare di arginarlo con le buone o con le cattive, e capire che se viene triplicato sotto canestro significa che ci sono almeno due compagni liberi e ben posizionati in attesa solo del bon bon per un tiro con chilometri di libertà. Anche a Rimini, in più di una occasione, Reyes si è trovato solo contro il mondo, a cercare conclusioni ad altissimo coefficiente di difficoltà con un lungo tutto solo ad attendere invano il pallone sotto il ferro. Il portoricano chiude comunque, come di consueto, con una doppia doppia da 13 punti e 10 rimbalzi, frutto però di un 3 su 13 al tiro (0 su 5 da due). Ma come detto, la sua importanza fondamentale non si legge solo nelle statistiche: da solo sbilancia le squadre avversarie, le induce a cercare soluzioni il più lontano possibile da lui, impone rotazioni che probabilmente i coach avversari non sceglierebbero se lui non fosse in campo.

Torna la solita questione “play non play” fra Brooks e Ruzzier, con il primo che torna ad essere il prescelto ed il secondo a giostrare prevalentemente da guardia (spegnendo quasi del tutto la sua produzione offensiva), ma contro Rimini va bene così, anche perché poi, quando viene chiamato in causa, Stefano Bossi non fa rimpiangere particolarmente nessuno dei due, aggiungendo profondità alle rotazioni in un ruolo nel quale Dell’Agnello non sa a che santo votarsi. Torna inaspettatamente anche l’involuzione al tiro di Luca Campogrande, che sembrava definitivamente sbocciato contro Cividale. Il tiratore romano sbaglia tutte le triple tentate, va a segno solo da sotto (realizzando peraltro canestri importanti) e dalla lunetta, non sembra particolarmente in palla nemmeno in difesa, sebbene il suo minutaggio limitato non gli permetta di prendere confidenza con l’incontro. Solito combattente, invece, Lodo Deangeli, anche a Rimini il solito guastatore difensivo, attore principale in almeno tre recuperi di palla, attento a rimbalzo e cattivo il giusto in qualunque accoppiamento finisse a giocare.

Sotto canestro, non la miglior partita di Francesco Candussi, che avrebbe potuto e dovuto banchettare sull’assenza di Johnson ed invece si è incaponito nel cercare tiri da lontano talvolta fuori ritmo che poco aggiungevano all’inerzia della partita. Anche a Rimini limitato da tre falli commessi in pochi secondi, rimane un’arma fondamentale che troppo spesso decide autonomamente di rimanere spuntata. Per contro, Giovanni Vildera ritrova continuità in attacco perché si limita ad esibirsi in quello ciò che gli riesce meglio, tornando efficace quando deve fare a sportellate, quando deve eseguire il tagliafuori difensivo, quando deve fare la faccia cattiva ed alzare i gomiti (in senso letterale, naturalmente).

Infine, è evidente il processo di adattamento di coach Christian al campionato italiano, ed in particolare a quello di A2. La testardaggine talebana con la quale voleva imporre il suo credo nelle prime partite, indipendentemente dall’avversaria di turno, restituiva la chiara impressione (che ovviamente è solo un’impressione) che i piani partita non venissero preparati sulle caratteristiche dei giocatori avversari, ma esclusivamente su quelle dei giocatori biancorossi, con il risultato che la squadra cadeva sempre nelle stesse trappole, commetteva sempre gli stessi errori, era sempre alla rincorsa di una identità e di una coerenza nel gioco che rimaneva lontanissima dall’essere trovata. Dopo lo sbandamento culminato nelle tre sconfitte consecutive, lo staff tecnico è invece sempre più sceso a compromessi, la squadra è sembrata sempre più capace di adattarsi, se non alle squadre avversarie, perlomeno alle diverse situazioni nell’arco dei 40 minuti, e questo si è tradotto, volente o nolente, in punti in classifica ed una consapevolezza nei propri mezzi e del proprio ruolo in questo campionato sempre più caratterizzata.

Intanto, la Fortitudo ritrova Aradori e torna a vincere sul campo di Cividale non senza grande sofferenza finale, mentre Udine, dopo aver condotto per gran parte il big match di Forlì, viene raggiunta nel finale e costretta ad un supplementare nel quale soccombe al cospetto di quella che sembra davvero essere la squadra meglio costruita del girone. In classifica, dunque, continua a comandare Bologna, ora inseguita a due punti dalla sola Forlì ed a quattro punti da Trieste e Udine. E domenica prossima, al Palatrieste, va in scena proprio contro Forlì, primo vero spartiacque della stagione regolare: vincere vorrebbe dire darsi un abbrivio fondamentale in vista di quattro impegni abbordabili, lanciare un messaggio chiaro alle avversarie, posizionarsi discretamente negli scontri diretti (dove Trieste soccombe con Bologna e Verona, mentre prevale su Udine). Ritenere indispensabile qualcosa che possa avvicinarsi al primo pienone stagionale sembra, a questo punto, il minimo sindacale.