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E’ ancora la stessa musica: blackout Allianz, Venezia vince 65-78

Tempo di lettura: 6 minuti

Parziali: 16-24; 30-41; 50-64

Allianz: Banks 16, Davis 12, Alexander, Konate 14, Deangeli, Mian 10, Delia 4, Campani ne, Cavaliero 6, Campogrande, Grazulis 3, Lever ne. All. Ciani.

Umana Reyer: Stone 5, Bramos 5, Tonut ne, Daye 2, De Nicolao 10, Sanders 5, Mazzola, Brooks 16, Theodore 25, Minincleri, Chapelli 1, Watt 9. All. De Raffaele.

La mentalità smarrita

C’è subito da dire che le due settimane seguite alla debacle pesarese in Coppa Italia, trascorse ad allenarsi in una full immersion tecnico/psico/fisica, sembrano passate invano. Trieste, è evidente, non ha imparato la lezione sul tipo di mentalità, sull’intensità che d’ora in poi sarà indispensabile per riuscire a portare a casa anche una sola vittoria contro chiunque. Ancora una volta, davanti ad una Reyer che lamentava 4 assenze importanti (a Cerella si aggiungono Vitali, Tonut e Echodas tornati acciaccati dagli impegni con le rispettive Nazionali), la squadra di Ciani sembra alzare bandiera bianca al primo vero allungo degli avversari, a cui è sufficiente piazzare qualche bomba nel secondo quarto, senza premere troppo sull’acceleratore, per accumulare quei 10-12 punti di vantaggio che poi sarà in grado di amministrare senza alcun patema, ricacciando indietro Trieste ogniqualvolta, grazie ad un paio di fiammate, riusciva timidamente a riavvicinarsi nel punteggio (mai, comunque, sotto i due possessi pieni). E non è più neanche una questione tecnica, di valore degli avversari: Venezia, ad esempio, ha dato una lampante dimostrazione di come, gettando il cuore oltre l’ostacolo, con le spalle al muro in un campionato al di sotto delle attese, senza alcune delle proprie stelle, si possa riuscire a moltiplicare lo sforzo, trovare soluzioni alternative, rifiutarsi di arrendersi all’ineluttabile destino. Di nuovo, è il solo Adrian Banks a rifiutarsi di arrendersi fino alla fine, l’unico con la vittoria stampata nel DNA, l’unico ad avere un atteggiamento di ribellione al mood pessimista esibito dai suoi compagni. Se l’obiettivo rimanesse quello di confermarsi nella nobiltà del basket nazionale (almeno per questa stagione. Per la prossima, si vedrà) è ora vitale riappropriarsi di quella leggerezza, di quella scanzonato e sfrontato approccio che aveva permesso a questa squadra di raggiungere vette mai raggiunte prima. E’ una condizione necessaria ma sicuramente non sufficiente, ma da qualche parte bisogna pur cominciare.

La testa, ma anche la tecnica. E le gambe…

Gli impegni con le Nazionali ed i voli intercontinentali hanno restituito un Grazulis leggermente affaticato, ma già quasi sui consueti binari fatti di presenza difensiva ed offensiva, ed un Delia tornato l’ombra di sé stesso: l’argentino è brutalizzato in attacco da Watt, non è lucido nemmeno in minima misura anche quando tira completamente libero, non è reattivo a rimbalzo e sulle palle vaganti. La carretta nel pitturato viene trainata quasi interamente da Sagaba Konate, che peraltro continua ad alternare sprazzi di abulia totale, specie difensiva, a fiammate di onnipotenza fisica, specie in attacco. Il maliano, c’è da dirlo, viene agevolato da una prestazione in pantofole di Watt e Mazzola, che non devono fare gli straordinari sgomitando sotto canestro grazie alla vena da oltre l’arco di Theodore, Brooks e De Nicolao. Costa comunque piuttosto cara la sua mollezza difensiva negli aiuti sugli esterni e l’inspiegabile distrazione che permette ancora una volta agli avversari (anche ai piccoli) di banchettare a rimbalzo offensivo. La tenuta atletica dei biancorossi, in generale e con i dovuti distinguo, non è però sembrata particolarmente deficitaria: Ciani a fine partita parla di necessità di recuperare la giusta energia nei prossimi due giorni prima della sfida contro Sassari, ma ad essere in riserva è più la testa che le gambe.

Contro Venezia la svolta tecnica più attesa ed importante era misurata dal grado di integrazione raggiunto da Ty-Shon Alexander. E’ evidente, in primo luogo, come il nuovo arrivato possa anche essere un ragazzo serio ed intelligente, ma continui a non essere un playmaker naturale. Se Ciani già nel secondo quarto, con Davis a rifiatare, sceglie di tenere seduto anche Alexander consegnando le chiavi della regia a Daniele Cavaliero, o si è reso conto solo negli ultimi giorni che all’ex Virtus non può assegnare compiti di costruttore di gioco, resettando nei fatti la dispendiosa operazione di mercato, oppure si è arreso all’evidenza che il tempo necessario per il suo inserimento in meccanismi già metabolizzati dalla squadra è più lungo di quanto ci si potesse aspettare. In un caso o nell’altro il livello di allarme è elevato, anche perché, in termini assoluti, il rendimento da -2 di valutazione, con un referto praticamente intonso in soli 10 minuti di impego, non può essere in alcun modo adatto a colmare la voragine creata dal forfait di Juan Fernandez. Ed in ogni caso, se nel momento in cui viene lasciato da solo a fare la point guard, viene pressato con intensità impressionante dai piccoli di Venezia che provocano più di una palla persa (come succede puntualmente quando nel ruolo viene impiegato Cavaliero), è evidente che le sue caratteristiche siano molto ben conosciute anche dagli avversari, e questo Trieste non può permetterselo: tutti hanno davanti agli occhi il tipo di trattamento riservato a Sanders dopo un paio di partite in Italia, volto a sfruttare i suoi numerosi punti deboli. Certo non è tutta sulle spalle del povero Ty-Shon a gravare la responsabilità di una prestazione balistica da dimenticare: archiviato il garbage time contro Tortona, in cui si divertì a violentare a ripetizione la retina da lontano, anche Luca Campogrande viene coinvolto nella debacle al tiro. Anche lui finisce con -2 di valutazione, un apporto che contro gente come Theodore e Sanders non è nemmeno lontanamente accettabile.

La panchina, la lettura del termometro, il coraggio

La conduzione tecnica non è esente da responsabilità. In primo luogo, se quella mostrata contro la Reyer è la risposta della squadra in campo dopo due settimane di lavoro descritte alla vigilia della partita come costruttive, affrontate con la giusta intensità e con il cambio di mentalità necessario, delle due l’una: o il team tecnico non è in grado di leggere il termometro della squadra, oppure la squadra in campionato non segue le indicazioni del team tecnico. La seraficità letargica con la quale i giocatori in panchina seguono le gesta dei compagni in campo dà di per sè stessa una chiara chiave di lettura. Inoltre, Ciani ed i suoi collaboratori peccano talvolta di mancanza di agilità nell’adattarsi alle situazioni contingenti, partita dopo partita, avversario dopo avversario, ma anche all’interno dello stesso match quando l’andamento non dovesse ricalcare il piano partita: anche quando gli avversari sorprendono, magari hanno la fortuna di indovinare una sequenza che permette loro di prendere un discreto vantaggio, si continua come se nulla fosse, con lo stesso gioco, lo stesso ritmo, la stessa difesa, gli stessi schemi facili e prevedibili, uno sterile passing game, in modo totalmente avulso dall’andamento reale del match. Inoltre, in situazioni estreme o disperate, ci piacerebbe talvolta apprezzare maggiore coraggio, magari rischiando l’impiego di qualche giovane che, limitandosi a trasportare asciugamani, non genera di certo alcun apporto alla causa. Non che ciò sia una novità: negli 11 anni precedenti nemmeno Dalmasson, presente al Dome per raccogliere il giusto tributo del suo ex pubblico, sia stato più propenso ad affidarsi a soluzioni rischiose o sorprendenti. E’, peraltro, un problema generalizzato in Italia: ci è voluto l’ingaggio di un coach straniero per invertire la tendenza a Varese, ed i risultati sono piuttosto evidenti.

Ed ora?

Nonostante la nuova sconfitta, la terza nelle ultime quattro partite, il campionato si rifiuta di scalzare l’Allianz dal quarto posto, che potrà oltretutto essere riconquistato in solitaria battendo una rinata Sassari mercoledì sera. Attenzione, però: da dietro molte squadre stanno tornando alla grande, accorciando nuovamente la classifica. Se il discorso salvezza sembra al momento una questione remota, il dodicesimo posto è solo quattro punti più in basso. E le partite in casa residue, d’ora in poi veramente poche (ne rimangono 5, contro 6 trasferte), costituiscono un patrimonio da non sprecare, specie ora che l’aumento della capienza consentita negli impianti ha donato un colpo d’occhio che, pur rimanendo abbondantemente al di sotto delle attese, comincia ad assomigliare a qualcosa di più consono alle potenzialità dell’impianto di Via Flavia.

Le pagelle dei biancorossi

Banks 7, per non essersi mai arreso. Davis 6, per aver provato -pur senza risultati tangibili- a ribellarsi. Konate 6, 4 per certi atteggiamenti difensivi, 8 per le fiammate in attacco. Deangeli n.g., 6 minuti, sebbene disastrosi, sono troppo pochi. Mian 6+, tiratore ritrovato, difensore a sprazzi. Delia 4, sarebbe da 3 ma almeno imbrocca qualche tiro libero. Cavaliero 6+, quando sembrava poter tornare nella sua comfort zone come 2 guastatore, deve tornare nell’incubo e fare il play maker: sue le due bombe di una possibile riscossa. Campogrande 4, -2 di valutazione che racconta la sua partita. Grazulis 6, da solo nel ruolo di 4 è in grande difficoltà anche fisica, ma gioca senza risparmiarsi per 34 minuti. Alexander 4, ma in due partite: ancora una prova d’appello, poi qualche conclusione bisognerà pur trarla.