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Il basket e la teoria del Caos

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di Francesco Freni

Certo l’occasione offerta dal lockdown era succulenta: c’era la possibilità, peraltro sbandierata urbi et orbi, di rifondare il movimento, renderlo finanziariamente sostenibile con nuove regole chiare, stringenti, uguali per tutti. Certo, ci sarebbe stato qualche caduto sul campo, in qualche caso anche eccellente. Certo, ci sarebbe stato bisogno di qualche sacrificio, di un paio d’anni di ridimensionamento per poi ripartire sani, con giovani nel frattempo valorizzati a costo zero, verso un futuro assicurato e con una Nazionale, forse, in grado di spogliarsi dai panni di zimbello d’Europa che veste ormai da più di un decennio. 
In particolare, una volta decretata l’ora del decesso della stagione 2019/2020 senza vinti né vincitori, si tentò di far capire a tutti che sarebbe stato necessario dimostrare numeri che rispettassero rigorosi sbarramenti prima dell’iscrizione, con la dimostrazione di poter fare affidamento su risorse finanziarie già acquisite e non solamente possibili o, nel migliore dei casi, probabili: in effetti, ciò che molti club erano stati in grado di dimostrare fino al 2019 era solo la ardente speranza di reperire nuovi finanziatori, improbabili cordate di petrolieri kazaki, multinazionali disposte a sposare il progetto del paesotto di turno diventandone munifico sponsor in cambio di buchi neri in bilancio, campagne abbonamenti da sold out, merchandising stile NBA. E, sulla base di tali risorse virtuali, far conto su budget virtuali per costruire costosissimi roster reali. I risultati sportivi e finanziari, con le inevitabili ricadute sulla credibilità del movimento cestistico dello Stivale, sono davanti agli occhi di tutti. 

Il vento riformatore, però, si placò quasi subito. Troppo stringenti gli interessi delle ristrette lobby dei potenti proprietari assetati di risultati immediati, troppo permeante la megalomania imitativa di altri club smaniosi di dotarsi di costosissime prime donne che tremare il mondo fan. E così, con buona pace del Presidente della FIP e con un solo club capace in modo responsabile di fare un passo indietro per ricominciare dalla serie inferiore, le regole sono rimaste sempre le stesse. Nessuna spinta regolamentare al maggiore utilizzo di italiani o di giovani (tranne un montepremi in grado, forse, di coprire gli acquisti di acqua minerale per tutto il campionato). Ma, soprattutto, controlli da confine sloveno-croato in agosto sui budget, nuovamente costruiti facendo conto su future risorse fantasiose quanto improbabili. 

Ad aggravare la situazione, in questo primo scorcio di stagione, è naturalmente la pandemia, di cui però il movimento cestistico ignora (o fa finta di ingnorare) l’esistenza. Assistiamo perciò ad intellettualmente destabilizzanti file ad ore antelucane per accaparrarsi abbonamenti stagionali venduti in numero 10 volte superiore a quanto la legge e le regole di buon senso consiglierebbero di vendere. Vediamo allestire roster che sembrano raccolte di figurine, per remunerare i quali le stesse entrate da ticketing potrebbero dare solo una piccola parte del contributo. Entrate da ticketing, peraltro, su cui tutti, anche i freddi e solitari scaloni di cemento dei palazzetti, sapevano di non poter fare affidamento. 
Certo, ci sono anche club che in modo oculato, leccandosi ancora le ferite causate dai mancati ricavi di marzo, aprile e maggio, hanno deciso obtorto collo di rinunciare in partenza ad un terzo di budget, non pensando nemmeno a campagne abbonamenti e prevedendo una stagione senza pubblico, costruendo squadre presumibilmente destinate alla lotta per salvarsi a costo di attirare su di sé la furia dei tifosi-felini da tastiera. Ma ci sono anche numerosi altri che, dopo solo una partita di campionato, dopo aver ingaggiato i Pat Riley e gli Scottie Pippen di turno inondano le strade cittadine di lacrime sventolando lo spettro del default, del fallimento, della scomparsa definitiva nel caso in cui le porte dei palazzetti non si fossero nuovamente spalancate alle masse di famelici tifosi, smaniosi di ammassarsi gli uni sugli altri per seguire le gesta, appunto, dei sopracitati Scottie Pippen di turno fregandosene allegramente del proprio istinto di sopravvivenza. 

Certo, se parliamo di schizofrenia, non possiamo non constatare come i dettami a rotazione stabiliti da Governo, Lega Basket, Federazione, Regioni, Presidenti di Club, Uscieri e Massaggiatori abbiano contribuito in modo determinante a creare una situazione di frenetica indecisione, nella quale le regole cambiano di giorno in giorno, riaccendendo e spengnendo speranze di normalità nemmeno fossero file di lumini da albero di Natale. E, quindi, Sassari in estate vende abbonamenti come fossimo nel 2015, salvo poi restituire i soldi ad ottobre (sempre che i liquidi siano reperibili). In controtendenza, alla luce della compiacente ordinanza della regione Emilia Romagna che eleva in modo incosciente quanto effimero al 25% della capienza degli impianti l’afflusso massimo del pubblico, vediamo negli stessi giorni la Virtus e la Fortitudo assegnare a capocchia ticket annuali a prezzi che garantirebbero un’entrata mensile al Billionaire, vendendoli a personaggi che, dal canto loro, sanno già in partenza che se potranno assistere dal vivo ad un terzo degli spettacoli che hanno acquistato sarà già una conquista. Del resto, il sovrastimato stipendio dei califfi di turno, il cui contratto ha attraversato indenne la versione sportiva dell’Armageddon, va regolarmente bonificato. 

In questo weekend va in scena la seconda giornata di campionato, con il Covid19 che sta facendo il suo ingresso a gamba tesa nel mondo dello sport professionistico italiano: il calcio ne sta subendo la furia e sta tentando di attivare tutte le regole che si è posto in partenza, ma è come tentare di arginare con le mani una crepa che si sta aprendo su una diga. Epidemia che ha fatto già capolino anche nel mondo del basket, da noi solo a Varese, ma il fatto che alcuni giocatori di Barcellona e CSKA siano risultati positivi con le Coppe Europee e le relative trasferte in corso, fa temere che il caso di capitan Ferrero sia solo la punta dell’iceberg. 
In un contesto drammatico come questo, il fatto che a Bologna potranno entrare più di 2100 spettatori, a Brindisi, Trento e Trieste (la prossima settimana) 1000, in Lombardia ed in Veneto 700 (pari al 22% della capienza a Venezia ed al 12% a Treviso), e che il Governo con il prossimo DPCM previsto per l’8 ottobre abbia preannunciato di voler imporre alle Regioni un afflusso massimo di 200 spettatori decretando di fatto le porte chiuse, contribuisce solo ad accentuare un caos che al momento costituisce l’unica certezza fra i canestri. Il tutto, naturalmente, senza considerare il piccolo particolare che possano essere gli stessi tifosi, illuminati da improvvisi raggi di buon senso, a decidere autonomamente di evitare di ammassarsi uno sull’altro godendosi le partite dall’economico divano di casa senza mascherina e senza alcuna limitazione a birra e pop corn. 

I matematici affermano che l’entropia dell’universo tende al caos. Il mondo del basket, con la giustificazione del contesto, non fa assolutamente nulla per opporsi a tale tendenza. Ciò che appare perciò evidente è che la sostenibilità del movimento, la sua futuribilità, la possibilità che qualche ricco appassionato possa realisticamente pensare di investire seriamente in un progetto cestistisco in Italia, ne sono minati alla base. Il rischio di default sventolato dal Comitato 4.0 diventa un’ipotesi concreta, e la speranza che un Governo attanagliato da problemi ben più stringenti possa tendere una mano di aiuto alle cicale della palla a spicchi sembra una chimera irrealistica. Nubi scure si stanno addensando sui 28 metri…