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A Trento reazione d’orgoglio cercasi

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Altro crocevia della stagione per l’Allianz. Dopo le sconcertanti uscite di Treviso e Bologna i biancorossi affrontano la prima di un poker di partite che determinerà il suo destino in questa stranissima stagione. Destino che, per una serie di coincidenze, rimane ancora saldamente nelle sue mani: l’Allianz affronterà infatti, da qui alla fine del campionato, le quattro squadre che la inseguono in classifica insidiandone la privilegiata settima posizione, ancora occupata in solitaria, e l’ingresso stesso alla post season.

Si comincia, dunque, da Trento, sul campo che nel dicembre 2019 segnò la peggiore debacle triestina dal ritorno in Serie A, portando per la prima volta in dieci anni Eugenio Dalmasson vicinissimo ad essere esonerato. Coach in questi giorni nuovamente messo sulla graticola, a dire il vero più da tifosi ed osservatori che dalla società, per il rendimento di una squadra che ha dimostrato di saper e poter fare molto di più rispetto alla sbiadita copia di sé stessa esibita nell’ultimo mese. Le qualità e la preparazione tecnica dell’uomo non si discutono, del resto i risultati ottenuti in una piazza non certo dotata di budget illimitati parlano per lui. Ma se l’atteggiamento della squadra è quello rinunciatario e demotivato mostrato sul parquet felsineo appena un giorno dopo le sue dichiarazioni di metro diametralmente opposto:

Credo che quando si parla di motivazioni lo sforzo debba essere comune, con obiettivi chiari e condivisi. E’ proprio in queste situazioni che prende forma il valore di una squadra, si riassume proprio qui, nel voler condividere le responsabilità in campo, in attacco e in difesa. Poi se ci metti anche le qualità dei singoli fai bingo. In questo momento le situazioni sono molto chiare, gli obiettivi che possono essere raggiunti anche, come d’altronde lo sono anche le difficoltà che dovremo affrontare.

è chiaro che qualcosa si deve essere inceppato nella comunicazione, almeno quella emotiva, fra squadra ed allenatore. E questo può essere un problema di difficile soluzione, specie per americani ansiosi di rientrare a casa (per evidenti motivi nessuno è arrivato a Trieste con la famiglia) con la certezza che il rendimento di questi ultimi tempi non inficerà in alcun modo le loro chances di un buon ingaggio nel mare magnum del basket europeo nella prossima stagione.

Milton Doyle al tiro

L’assenza del pubblico per tutta la stagione, specie per alcune squadre come ad esempio le bolognesi e, sicuramente, Trieste, ha tolto completamente le pressioni di piazze esigenti, e l’esaltazione davanti a muri di persone nel frastuono di palazzetti riempiti all’inverosimile. I giocatori, specie quelli che non hanno mai avuto esperienza di cosa possa voler dire essere incitati dal Red Wall, in particolare gli americani, hanno la sensazione di giocare sul palcoscenico di un teatro con i fari abbaglianti puntati su di loro, giocano nel silenzio, probabilmente non comprendono il senso dei post sui social che li riguardano, non sentono il sostegno e l’esigenza pressante della città, non si nutrono dall’esaltazione che ne deriva. In altre parole, in assenza del feedback umano, vincere o perdere, giocare bene o male, essere o meno al centro di critiche, è una situazione aliena e priva di significato, non certo foriera di motivazioni particolari.

La stagione ora è, però, ad un bivio. Se l’obiettivo è quello dichiarato, e cioè la conquista dei playoff, società, staff tecnico e nucleo storico devono urgentemente far leva su una reazione d’orgoglio, pungolare l’amor proprio di uomini che non possono in alcun modo accettare supinamente il tornado di severe critiche che si è abbattuto su di loro e finire mestamente la stagione come il loro linguaggio del corpo indicherebbe: a testa bassa e braccia lungo i fianchi. Non sarebbe giusto per loro, lo sarebbe ancora meno per una città che vive per il basket e che peraltro ha già iniziato a notare con ansia scure nubi tornare nuovamente ad addensarsi sul futuro della sua squadra.

Coach Dalmasson, prima della partenza per il Trentino, chiama la sua squadra a raccolta, indicando la ricetta per tornare competitivi pur in una situazione di deficit fisico ed emotivo:

Adesso bisogna essere ancora più uniti: questa è l’unica cosa su cui contare, la nostra vera forza. Quando abbiamo pensato e agito da squadra abbiamo messo in campo una pallacanestro di ottimo livello. Quando ci isoliamo con iniziative personali siamo una squadra che può perdere con chiunque. Si parte da lì, se lo si dimentica diventiamo molto meno competitivi. Proprio perché nessuno in questo momento vanta una condizione fisica e mentale eccellente (da cui deriva anche meno lucidità in campo) dobbiamo ricercare la vera forza nella capacità di stare insieme. 

E’, dunque, ora o mai più: Trento non è un cliente comodo, ed è in grande fiducia dopo vinto in casa le ultime quattro partite, fra le altre contro Milano e la Reyer, e dopo la vittoria thrilling sul campo di Cantù. Però, non ci sono alternative. Non bisogna fermarsi a riflettere, è necessario reagire subito, è come, nel calcio, aver subito un goal inaspettato e buttarsi a testa bassa per pareggiare ricominciando dalla palla al centro.

Brownee, Martin, Morgan, Williams sono buonissimi giocatori, che coach Molin (subentrato a Brienza in corso d’opera) mixa sapientemente con l’esperienza di Toto Forray, Pascolo e Mezzanotte. Quella bianconera è una squadra ben costruita, molto pericolosa dal perimetro e dotata di chili ed esplosività sotto canestro. Ma poche volte come questa, l’Allianz dovrà affidarsi più che al piano partita, ad una giravolta emotiva, in assenza della quale verrebbe nuovamente travolta dall’energia di giocatori che più dei suoi hanno solo la garra, la determinazione, la voglia di conquistare un risultato tornato alla loro portata e che non hanno nessuna intenzione di farsi sfuggire.

La missione playoff è ancora possibile. E la sua riuscita, per ora, dipende esclusivamente da Trieste.