tsportinthecity

Sulla ruota dell’ordinanza esce lo stop totale. Forse….

Tempo di lettura: 4 minuti

di Francesco Freni

L’incompletezza delle varie disposizioni che si susseguono al beat rate di una canzone trash metal, l’incapacità degli estensori di esprimere per iscritto in modo intelleggibile il groviglio neuronale che attanaglia amministratori in preda al panico, il rifiuto sistematico di ogni organismo preposto a decidere di prendersi una responsabilità chiara e definitiva, l’esigenza di garantire la maggiore sicurezza possibile nello svolgimento degli allenamenti da coniugare con la grave situazione ambientale e sanitaria, il progressivo peggioramento della tenuta nervosa di ogni singolo componente dello scibile sociale: tutto fertilizzante ad alto potenziale per l’ennesima puntata Covid-connected di questa rubrica. 

Del resto, l’ultima ordinanza del Presidente della Regione FVG, già endemicamente difficile da decifrare in quanto redatta in criptica lingua legal-burocratica, per quanto riguarda l’attività sportiva fa di tutto per rendersi ulteriormente nebbiosa, calando una scure apparentemente tombale sulle possibilità di muoversi anche all’aperto, salvo poi lasciare adito ad interpretazioni esattamente opposte. 
Nel capitolo precedente avevamo assecondato il grido di dolore delle società dilettantistiche, dapprima costrette a cospicui investimenti, affrontati peraltro di buon grado, per mettersi in regola con gli stringenti protocolli sanitari, salvo poi vedersi sbarrare i cancelli degli impianti dal DPCM di fine ottobre. Un meandro cavilloso di una oscura circolare ministeriale aveva quasi subito sbloccato l’attività all’aperto nei centri sportivi a patto che gli allenamenti fossero individuali e con garanzia di distanziamento sociale: riorganizzazione ardua per gli sport di contatto, ma anche in questo caso società, tecnici e la marea di giovani e giovanissimi atleti si erano adeguati immediatamente, pur di continuare ad usufruire di quella che per molti, se non per tutti, costituisce l’unica salutare valvola di sfogo e di distrazione in tempi di Smart Working e Didattica a Distanza. Anche tanti piccoli cestisti, orfani dei rassicuranti e caldi parquet, si erano riprogrammati come i loro predecessori di 50 anni fa tornando ad allenarsi al freddo dei campetti all’aperto. L’appoggio dei genitori, per una volta uniti ed incredibilmente silenziosi e collaborativi, è unanime e talvolta entusiasta. Risultato: per fortuna, o come conseguenza, le positività fra i giovani atleti sono pari praticamente a zero. 

Dunque, constatata la situazione, l’amministratore illuminato cosa può fare? Accomuna gli allenamenti individuali agli assembramenti dei dementi che si accalcano fuori dai bar per spararsi la pera quotidiana di caffeina, e le sedute atletiche di atleti di dieci anni con gli irriducibili teorici dell’adunata sul Molo Audace. Accoglie i sedicenti suggerimenti di FIPAV, FIP e FIGC e con un colpo di spugna azzera completamente l’attività sportiva per gli sport di squadra e di contatto. Non tutta, però: siccome la colorazione arancio in cui è precipitata la Regione impedisce di sconfinare in altri Comuni, blocca solo l’attività dei dilettanti e dei giovani locali, quelli che la cortina di ferro comunale non la attraverserebbero comunque. In compenso, consente ai pari età impegnati in competizioni di carattere nazionale di tentare di positivizzarsi a Vicenza, Tolmezzo o Rovigo. Del resto, loro, sono Supermen di carattere nazionale… 

Il giorno dopo, puntuale come un treno del ventennio, arriva l’interpretazione contraria: la consueta esternazione postuma del presidente della FIGC del FVG Ermes Canciani evidenzia l’imperizia con la quale l’ordinanza regionale n.43 esprime per iscritto quanto dichiarato piuttosto chiaramente solo poche prima dal Governatore Fedriga. “Per noi non cambia nulla rispetto a prima”, afferma Canciani. Vorrebbe dire che per la federazione del calcio sarebbe teoricamente possibile continuare ad allenarsi individualmente all’aperto senza il rischio di venire giustiziati sulla pubblica piazza. Non resta che attendere le nuove interpretazioni delle interpretazioni delle prese di posizione. Magari, sulla ruota di Trieste, uscirà qualcuno che ne capisca qualcosa: o, almeno, che abbia finalmente il coraggio di prendere una decisione senza demandarla sistematicamente ad altri. Governo che delega le Regioni che delegano il Governo, Federazioni che “consigliano” ma non legiferano scaricando la responsabilità delle scelte sulle singole Società, Regioni che legiferano attribuendone la responsabilità al volere delle Federazioni, Federazioni che criticano le disposizioni delle Regioni. Stiamo assistendo ad uno spettacolo che sarebbe ridicolo se non fosse pietoso perché gioca con la salute, e dunque la vita, dei cittadini. 

Noi odiamo i negazionisti. Non siamo nemmeno lontanamente riduzionisti (negazionista e riduzionista sono termini che ci fanno orrore dal punto di vista lessicale, ma vanno così di moda…). Siamo ben consci della gravità della situazione, della pressione sulla sanità, dei gravissimi rischi sulla salute, specie quella dei più deboli, delle conseguenze della pandemia sul tenore di vita di migliaia di famiglie italiane. 
Abbiamo, però, sufficiente consuetudine con gli ambienti dello sport giovanile triestino. Conosciamo la prudenza, la perizia, la precisione con la quale presidenti, dirigenti, sostenitori, volontari, tecnici ed atleti hanno investito tempo, capacità e denaro, molto denaro, per ridurre ogni rischio (azzerarlo, eliminando l’imponderabile, è impossibile), evitando ogni situazione potenzialmente pericolosa e tenendo altissima e costante l’attenzione. Conosciamo la passione che pervade i piccoli calciatori ed i giovani cestisti, i teenager disposti ad estenuanti quanto noiose sedute atletiche senza pallone pur di continuare a sentirsi parte del gruppo, della squadra, di continuare ad indossare quella divisa, quei colori, quei simboli. E’ medicina per la mente, carburante per il corpo, positività per lo spirito. E di certo non è più pericoloso che ritrovarsi per una passeggiata in Viale con i compagni, comprare (rigorosamente per asporto) un Baby Menu composto da junk food misto a bibite zuccherose, affaticare cuore ed appesantire membra in sedentarie quanto alienanti sedute davanti alla Playstation. 

Senza contare che la desuetudine allo sport, già così bistrattato e considerato entità secondaria e sacrificabile durante l’intero percorso scolastico, degno figlio della pigra decadenza fisica, culturale e mentale in cui è precipitato il nostro Paese, si tradurrà inevitabilmente in un elevato tasso di abbandono dell’attività: garanzia di giovani adulti appesantiti, affaticati, sedentari ad alto rischio cardio circolatorio. In altre parole, garanzia di pressione sul sistema sanitario, guarda caso proprio ciò che si vorrebbe evitare oggi ma che semplicemente si sposterebbe in avanti solo di qualche anno. 

Arrivederci alla prossima estrazione.