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Trieste è ancora immatura: già finita l’avventura in Coppa Italia

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di Francesco Freni

L’impressione, netta, del giorno dopo, è quella che Trieste abbia sprecato un’occasione, se non per qualificarsi, almeno per dimostrarsi meno acerba, un filino più attenta all’importanza ed alla difficoltà dell’evento, più motivata e determinata per lanciare, se non altro, un segnale preciso alle avversarie in campionato. 
L’approccio light, quasi svagato in alcuni frangenti, poco incisivo (quasi incredulo) quando per più volte Brindisi ha permesso ai biancorossi di riavvicinarsi e di mettere il naso avanti anche nel terzo quarto, non avrebbe potuto far altro che condurre inesorabilmente alla resa: un risultato che, a sensazione, non è mai stato in discussione, con l’inerzia e l’iniziativa sempre in mano ad avversari qualitativamente e soprattutto fisicamente superiori, ma certamente non imbattibili. 
L’Allianz, il cui obiettivo ormai dichiarato per la stagione è la conquista dei playoff, è chiamata a fare velocemente un importante salto culturale, una maturazione di mentalità se vorrà conquistarli e, soprattutto, disputarli con qualche chance di poter dire la sua. Certamente tanti dei suoi giocatori sono a digiuno, o quasi, di eventi di livello nazionale ed obiettivi importanti, la conduzione tecnica, nonostante la sua più che decennale presenza e le tante vittorie sulla panchina triestina è praticamente debuttante a queste altitudini (e talvolta dimostra tutta la sua dimensione naïf), ma questa non deve certo essere considerata una attenuante e tantomeno un alibi. “When the going gets tough” ci vuole ben altro che lo svolgimento del compitino, l’esecuzione perfetta del piano partita, magari la grande vena al tiro da fuori o la prestazione attenta in difesa: è necessaria determinazione feroce, capacità di reazione, intelligenza e velocità nel trovare alternative in corso d’opera, istinto del killer, una sorta di spietatezza agonistica che al momento sembra del tutto aliena a quasi tutti i candidi cervelli triestini. 
Del resto, i quarti di finale dimostrano con evidenza disarmante questa tesi: a parte l’allenamento di Milano contro una Reggio Emilia troppo menomata per poter nemmeno pensare di essere competitiva, abbiamo assistito ad un salto di qualità simile (fatte ovviamente le debite proporzioni) a quello che esiste fra la stagione regolare ed i playoff in NBA. Sembrano letteralmente due sport diversi, la concentrazione si eleva in modo esponenziale, le qualità lasciate “fermentare” ed affinate in campionato vengono sublimate ed esaltate in partite da dentro o fuori, in cui la pressione per il risultato fa tutta la differenza del mondo. Ne escono partite a scacchi come il match fra Venezia e Virtus Bologna, in cui a spuntarla è la maggiore coralità delle prestazioni fra i veneziani, con responsabilità maggiormente distribuite e dunque con la sottrazione di punti di riferimento agli avversari. Ma anche un confronto fra due stili di conduzione diversi in cui la maggiore esperienza di un coach vincente come De Raffaele gli permette di rimescolare le carte in difesa ingabbiando i califfi serbi di Bologna cui Djordjevic si affida in modo quasi esclusivo nei momenti di difficoltà. 
L’esempio più clamoroso di un deciso salto di qualità è però l’ultimo quarto di finale, una partita, quella fra Sassari e Pesaro, che ci riconcilia con la pallacanestro e con lo sport in generale, alla quale l’intera squadra di Trieste ed il suo coaching team dovrebbero guardare, prendendo appunti, per capire cosa servirà la prossima volta. Spettacolo assoluto, equilibrio, furore agonistico, prestazioni atletiche e tecniche simili alla perfezione, reazioni e controreazioni, più di 220 punti realizzati, episodi e particolari in cui a spuntarla è, a sorpresa, la squadra che riesce a mantenere i nervi più saldi fino al 45′. E, guarda caso, la squadra condotta da una vecchio rapace del parquet come Jasmin Repesa, che di queste emozioni ha fatto ormai da decenni il suo nutrimento. 

Cosa resta della trasferta milanese:

A parte l’esperienza accumulata nel primo grande appuntamento cui Trieste partecipa da quasi vent’anni a questa parte, e la soddisfazione per una qualificazione insperata ma meritatissima, ora è necessario riposizionare concentrazione ed obiettivi sul campionato. Un finale di stagione regolare difficilissimo, un cammino verso la qualificazione ai playoff disseminato di mine letali. Intanto, fra due settimane, la trasferta in Puglia sul campo dell’ultima avversaria affrontata: Vitucci, da ieri sul 5-0, dispone del “set point” contro Dalmasson, ed un break, per quanto poco probabile al momento, sarebbe quantomai fondamentale. Del resto, alla terza sfida in stagione contro la Happy Casa, Trieste dovrebbe avere abbondantemente accumulato il know how necessario. Non sarà certo l’unica difficoltà: oltre che da un calendario non particolarmente favorevole, l’Allianz dovrà guardarsi dal prepotente ritorno di una Brescia al momento da primi cinque posti, dall’entusiasmo e la freschezza atletica di Pesaro dopo la strepitosa vittoria su Sassari, dai roster rimescolati (anche se non sempre migliorati) di molte delle squadre che attualmente stanno nel limbo della graduatoria: Treviso su tutte, mentre Reggio Emilia e Fortitudo, compresse fra vorticose entrate ed uscite, sembrano più in preda ad una sorta di schizofrenia tecnica che ad un deciso upgrade qualitativo. 
Da Milano torna però la consapevolezza di aver definitivamente ritrovato un giocatore fondamentale per questa squadra, un Myke Henry forse ancora un po’ in ritardo nelle prestazioni difensive ma nuovamente in grado di colpire in modo letale in attacco con una grande varietà di soluzioni, sia da lontano che attaccando il ferro. Buone notizie anche dal reparto lunghi, ed in particolare da un Matteo Da Ros che sembra un giocatore rinato, trasfigurato anche nell’atteggiamento e nel linguaggio del corpo, oltre che tecnicamente, nel “dopo Covid”. Conferme arrivano anche da un sostanzioso Devonte Upson, che tutti noi avevamo abbondantemente sottovalutato ad inizio stagione ma che invece, a dispetto della conformazione fisica filiforme, ha senso della posizione, discreta verticalità, è tecnicamente bello da vedere ed è in possesso di un buon tiro anche dalla media distanza. 
Sarà fondamentale, infine, recuperare velocemente un Grazulis la cui assenza contro Brindisi è pesata come un camion carico di scogli barcolani. Peric, con lo stato di forma di cui dispone al momento, è in grado di fornire prestazioni più simili al pittoresco carrozzone della A2 armena che a quelle che servirebbero come il pane a coach Dalmasson, e probabilmente la sua utilità sarà limitata a quella di un buon sparring partner negli allenamenti: certo, adesso ci sono due settimane intere da sfruttare per “rimetterlo in piedi”, e la serietà professionale di cui il croato ha sempre dimostrato di disporre potrebbe anche riservare piacevoli sorprese. 

Ora non resta che goderci semifinali (stellare quella fra Milano e Venezia, imprevedibile quella fra Brindisi e Pesaro) e finale, con ancora un bel po’ di spunti di cui fare tesoro. Da domani, è già futuro.